2 Giugno, la Festa vista dai cento anni di Marisa Rodano: «La nostra Repubblica non sta bene, manca un progetto per il Paese»

«Ho avuto una vita normale». Marisa Rodano, cento anni (stesso giorno di nascita del Pci, il 21 gennaio 1921) cinque figli, 11 nipoti, tre mesi di carcere, quattro legislature da deputata e una da senatrice, due da europarlamentare, quattro sigle di partito (Sc, Pci, Pds,Ds), un primato, come donna vicepresidente della Camera. «Sì, ho avuto una vita abbastanza normale», il sorriso arriva con la voce.

Impegnativa, almeno. Come è riuscita a fare tutto questo con una famiglia così numerosa?

«Ci sono riuscita perché mio marito si occupava dei figli mentre io mi dedicavo alla politica. Era lui a sostenermi, a spingermi a impegnarmi. Un uomo straordinario, da prendere a esempio».

Suo padre era podestà di Civitavecchia. Come è nata la scelta della militanza partigiana?

«È cominciato tutto al liceo Visconti, a Roma. Noi ragazze eravamo molto irritate dal dover portare la divisa, la camicia bianca, la gonna a pieghe nere, dall’obbligo dei saggi ginnici allo Stadio dei Marmi. Cominciammo a vederci tra compagni di classe per capire cosa fare per cambiare».

Qual era la vostra attività?

«Diffondevamo manifestini, mettevamo i chiodi a tre punte per strada per bloccare i mezzi dei nazisti. Poi ci siamo spostati ai Castelli Romani, lì si è combattuta la battaglia contro i tedeschi. Con la mia famiglia avevo rotto i rapporti. Mi avevano arrestata ed ero sparita».

In carcere dal maggio al luglio del 1943. Ha avuto paura?

«Direi di no. Avevo trovato dei libri nella biblioteca del carcere, leggevo. Se uno decide di fare una battaglia, la paura non può metterla in conto. Lo sai che in battaglia si rischia. Coraggiosi? Insomma, siamo stati mediamente coraggiosi. Altri sono stati molto più coraggiosi di noi».

Dopo la Liberazione è stata tra le fondatrici dell’Udi e ha scelto la mimosa come simbolo dell’8 marzo 1946.

«Allora si parlava di emancipazione delle donne, il femminismo ancora non c’era. Eravamo riunite non mi ricordo dove e bisogna cercare un fiore. Sapevamo che a Parigi per il primo maggio si distribuivano mughetti. Ma erano tutti troppo costosi. Guardando delle mimose, pensammo: sono fiorite, non costano niente, le possiamo raccogliere. Quindi facciamo della mimosa il fiore dell’8 marzo. Così è andata».

Quali sono i ricordi delle battaglie di quegli anni?

«Ricordo le battaglie per il diritto di voto, per essere elette, per conciliare lavoro e famiglia. Quella fondamentale fu la battaglia sul voto, perché gli altri diritti conquistati vengono sempre un poco contraddetti dall’insieme delle condizioni sociali».

E da prima vicepresidente della Camera?

«Un periodo molto interessante. Ho avuto dei momenti di soddisfazione, come quando ho cacciato Almirante dall’Aula perché si era comportato male».

La Repubblica fa 75 anni. Coma sta, secondo lei?

«Secondo me non sta molto bene. Si ha l’impressione che i dirigenti politici pensino prevalentemente a conservare le loro poltrone e non a disegnare uno sviluppo per il Paese. E che manchi poi un progetto: dove andare, come collocarsi sia all’interno sia nello scenario internazionale».

In che modo vorrebbe essere ricordata?

«Come una persona che si è battuta per l’emancipazione delle donne, sì senza dubbio».

Cosa manca oggi alle donne per raggiungere la parità?

«Non è che manchi qualcosa da un punto di vista formale, mancano le condizioni sostanziali per poter essere effettivamente libere, capaci di conciliare lavoro e famiglia. Quello che bisogna fare è battersi per creare queste condizioni, chiedere più asili nido, scuole materne, tempo pieno».

Che messaggio vuole lasciare ai giovani e alle giovani?

«Non chiudersi nel privato, non lasciarsi trasportare dalle cose ma impegnarsi per costruire un mondo migliore».

Il periodo della sua vita che ricorda più volentieri?

«Difficile dire, le vacanze in montagna, le passeggiate con mio marito. Quelli sono i ricordi più gradevoli».

L’amicizia più bella?

«Con Nilde Jotti e Togliatti».

Come è stato compiere 100 anni?

«È stato normale, non è che fa grande differenza tra 99 e 100. Uno pensa che oramai è arrivato vicino alla fine». Le fa paura questo? «No, è normale che sia così». Una pausa, grazie, grazie a lei, i saluti, il telefono passa alla figlia Giulia. «Come sono andata?». «Benissimo, mamma».

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