Ha fatto più Paola Cortellesi per raccontare diseguaglianze, ipocrisie e soprattutto l’invisibilità delle donne italiane, ha fatto più lei, con il team degli sceneggiatori, di tante politiche, opinion leader e donne di potere del nostro Paese.
Ha fatto più lei, con le sceneggiature firmate con Riccardo Milani (regista dei suoi film e compagno di vita), Giulia Calenda e Furio Andreotti. Ve lo ricordate Scusate se esisto? Cortellesi era l’architetta brava, più brava di altri ma costretta a schermarsi dietro un avatar maschile altrimenti non l’avrebbero presa sul serio. E poi Gli ultimi saranno gli ultimi storia di una precaria che perde il lavoro perché rimane incinta. E a proposito di disastro demografico italiano, il bellissimo Figli, dove la sceneggiatura era del grande Mattia Torre e il tema qualcosa che solo a parlarne scatena rabbia: l’ansia che si impadronisce di una giovane coppia quando scopre di aspettare il secondo figlio. Perché non ci sono abbastanza soldi, non c’è una rete familiare o (peggio mi sento) un aiuto dal Welfare. Però non mancano i dibattiti sulla miserrima natalità del Paese. Paola Cortellesi è una donna di potere. Attraverso i suoi film riesce a imporre temi che in altre sedi scivolano senza lasciare traccia. Si è parlato di periferie e popolo più dopo Come un gatto in tangenziale (con il sequel Ritorno a coccia di morto) che nelle centinaia di superflui convegni, quelli ai quali nel film partecipa il burocrate milanese/romano Giovanni (cioè Albanese, coprotagonista dei due “Gatti in tangenziale”).
«Le nostre sceneggiature non sono frutto di convinzioni ideologiche. Le proposte nascono per istinto. Scusate se esisto è nato per frustrazione personale. Dopo anni di riunioni in cui io parlavo, proponevo, ma era come se per i presenti io fossi invisibile. Poi interveniva un uomo, diceva quel che avevo appena proposto e tutti stavano a sentire lui. I nostri film nascono così, il metodo è sempre lo stesso: ci mettiamo attorno a un tavolo, due donne, Giulia ed io, e due uomini, Riccardo e Furio. Parliamo, litighiamo». Ma quanto pesa la forza del nome Cortellesi perché poi la sceneggiatura trovi la strada per diventare un film? «Certo, la fiducia è arrivata come conseguenza della notorietà. Ma credo contino anche altre cose, collaborare con persone brave, bravi sceneggiatori e metterci passione. Bisogna essere convinti del fatto che certe storie vanno raccontate» Ogni film, ogni sceneggiatura, ha un centro di gravità. Nel Ritorno a Coccia di morto, per esempio, ha sorpreso l’attenzione data al lavoro della Chiesa in periferia. Si prendono in giro i borghesi della sinistra “Ztl” ma anche le piccole credulità popolane: «Nun ce lo sai che le monache portano sfiga?», spiega con aria saputa la borgatara Monica a uno stupefatto Giovanni, il burocrate del Nord, l’intellettuale di sinistra per il quale la periferia romana esiste solo se puoi piazzarci un centro culturale con eventi sponsorizzati. Parlare di Chiesa raccontando dei preti di periferia non è proprio argomento da cinema italiano. Le serie tv, quelle sì, pullulano di preti e suore, ma al cinema l’argomento non fa botteghino. «Ci abbiamo pensato mentre Papa Francesco era sottoposto a un attacco senza precedenti». Pure la bellezza, la cultura proposta nelle periferie, non è stata finora un tema popolare per il cinema di casa nostra. Invece nel sequel Ritorno a Coccia di morto se ne parla anche con qualche emozione, come la notte in cui Giovanni fa scoprire a Monica una Roma by night che non è quella dei locali, delle feste senza allegria ma quella di Castel Sant’Angelo o della Fontana di Trevi alla quale arrivi da un percorso sotterraneo. «Roma è bella anche se la prendi a calci» si commuove la borgatara Monica. E magari si commuove anche chi abita in centro e spesso non la merita, tanta bellezza.
Le parole, le scelte, hanno un peso e Cortellesi lo sa. «La bellezza è il pane che manca alle nostre periferie. In fondo Monica e Giovanni sono tornati per far sorridere dopo la pandemia e anche per ricordare che dopo il Covid l’urgenza è anche questa: riabituare a godere di un film, di un pomeriggio a teatro, i tanti che per due anni hanno vissuto davanti a un cellulare o a un computer». In Italia appena fai qualcosa e vieni apprezzato ti propongono subito di fare politica. Lei per fortuna crede nel principio “offele’ fa el to’ meste”. «Raccontare è di mia competenza. Fare politica no. Sarei fuori posto. Mi piace far ridere, mi piace la parola popolare, vuol dire che in tanti hanno voglia di ascoltarti. Ma c’è anche una responsabilità. La mia è portare divertimento. E saper raccontare una storia». Per questo quando Elenina, una ragazza tornata per la prima volta al cinema dopo la pandemia, le ha scritto sui social il suo stupore e le emozioni provate con Ritorno a Coccia di morto, Paola ha pubblicato la mail sulla sua pagina Facebook. Lei che usa i social in “Modica quantità”, si è emozionata a sua volta. «Il sentirsi invisibili, l’essere ai margini, sono cose che vanno raccontate con un lavoro che è quasi come un ricamo. Ogni cosa può fare male. E le parole più male di tutto». Finora abbiamo fatto un bel santino di Paola Cortellesi, bella, brava e buona. Ma lei ce l’ha il suo personale Pantheon di donne che ammira? «Come no. Ho grande rispetto per chi, già da molto giovane, si dà da fare. Bebe Vio per esempio, che impersona un’impresa compiuta su se stessa ma anche per gli altri. E poi credo nel valore della memoria. Liliana Segre, ecco. Mi addolora pensare che nonostante quel che ha vissuto possa esserci ancora qualcuno che la offende».