«Voglio inviare un grande saluto al popolo del Cile, dal Nord fino alla Patagonia e dal mare fino alla cordigliera», esordisce così in una domenica d’inizio luglio, nell’ex-Congreso Nacional di Santiago de Chile, Elisa Loncón, rappresentante dell’etnia indigena mapuche, nel suo primo discorso da presidente della costituente cilena che, nei prossimi mesi, dovrà redigere la nuova Carta Magna del Paese, in sostituzione di quella attuale ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet. Con in mano la wenufoye, la bandiera del suo popolo, Loncón inizia a parlare in mapuzugun, la sua lingua, per poi passare allo spagnolo. Loncón saluta e ringrazia «tutto il popolo del Cile, tutti i popoli e le nazioni originarie che ci accompagnano. Questo saluto e ringraziamento è per la diversità sessuale, per le donne che lottano contro tutti i sistemi di oppressione».
IL MESSAGGIO
«Il nostro sogno si fa realtà – dice, rivolta alla sua gente – perché è possibile rifondare il Cile, la democrazia, ampliare la partecipazione, per i diritti delle nostre nazioni originarie, per i diritti della nostra madre Terra, per il diritto all’acqua, per i diritti delle donne e dei bambini». «Questa Convenzione trasformerà il Cile in un Cile plurinazionale, interculturale, che non minacci i diritti delle donne, che si prenda cura della madre Terra». Quindi, pronuncia per tre volte la parola «!Marichiweu», «Dieci, cento, mille volte vinceremo!», l’urlo di resistenza del popolo mapuche riecheggiato per le strade del Paese durante il cosiddetto estallido social, l’esplosione sociale dell’ottobre 2019, che si saldò con la perdita di più di trenta vite umane e migliaia di persone ferite e detenute. Davanti alle proteste di quel periodo contro il modello socio-economico erede della dittatura, si decise di chiamare l’elettorato a pronunciarsi sull’apertura di un processo costituente. Nel referendum del 25 ottobre 2020 quest’ipotesi fu approvata con l’80% dei voti e nel maggio 2021 si votarono i nomi dei costituenti. La Convenzione, formata da 155 delegati, è la prima al mondo con parità di genere, 77 donne e 78 uomini, in riconoscimento del grande protagonismo delle donne nella mobilitazione sociale. Innovativa anche per la presenza importante dei popoli originari, 17 rappresentanti per 10 etnie, il 13% circa della popolazione cilena, storicamente in conflitto con lo Stato per le terre del Sud. E che nell’autunno 2019 riempirono coi loro simboli Santiago de Chile, rinominando Plaza Italia come la “Plaza de Dignidad”. Loncón, eletta presidente in seconda votazione con 96 voti, sostenuta dagli indigeni, dalla sinistra e dagli indipendenti, rappresenta questa doppia condizione di donna indigena.
IL PERCORSO
Nata 58 anni fa nella comunità mapuche araucana di Lefweluan, Loncón fu la prima nella sua famiglia di contadini e falegnami a studiare, fino a diventare linguista e docente universitaria. Nella sua formazione figurano un diploma d’insegnamento d’inglese ottenuto presso un’università cilena e diversi titoli di master e dottorato in linguistica e in scienze sociali conseguiti presso università in Olanda, Canada, Messico e Cile. «Il Cile è composto da varie nazioni preesistenti, varie lingue e culture. La diversità di lingua rafforza l’identità pluriculturale del Paese nel suo insieme», scrive in un saggio sulla plurinazionalità (“Wallmapu”, CIIR, 2020). «Il riconoscimento e rispetto dei diritti linguistici in una futura Costituzione permetterà di riconoscere che non ci sono solo cileni, ma anche mapuche, aymara, quechua». In un articolo del 2020 (Ciper Académico), Loncón discute sul rapporto tra donne mapuche e femminismo: «Più di un milione di donne appartiene ai popoli indigeni. Sono femministe? E come convivono la difesa del genere e le tradizioni ancestrali?». Per rispondere, Loncón ricorre al concetto della intersezionalità, perché «nel caso della donna indigena che è discriminata per essere donna, indigena e povera confluiscono il genere, l’etnia e la classe. Non succede lo stesso con le donne bianche di classe alta che rivendicano l’eguaglianza di genere perché il resto è già risolto».
LA FOTOGRAFIA
Le donne indigene rappresentano il 51% dei popoli indigeni in Cile, le donne mapuche sono le più numerose, la maggioranza giovanissime. La loro partecipazione al mercato del lavoro è del 47% (contro il 71% degli uomini). All’esterno, l’uomo mapuche è più riconosciuto della donna, ma le donne apportano un contributo fondamentale nell’economia di sussistenza e nella cura delle nuove generazioni. «Nell’etica mapuche la cosa più importante è avere una vita equilibrata tra le persone e con la natura, più in là dell’identità sessuale conta il comportamento come persona». «Se s’intende il femminismo come una pratica di auto-identificazione con la natura, nella cultura e società mapuche il femminismo è stato presente nella vita delle donne», ma «il pensiero eurocentrico considera l’uomo superiore alla donna e alla natura» e allora le donne subiscono «violenza politica, maltrattamento domestico, invisibilizzazione». Perciò, conclude Loncón, «è necessario ampliare il femminismo. Non ne esiste uno solo, perché esiste diversità di donne, di oppressioni e di violenze».