Annachiara Svelto, manager e giurista (nei cda di Enel, Techedge, Astm e Cucinelli) una mamma su 4 lascia alla nascita del primo figlio. Come fermare questa fuga dal lavoro?
«Sono dati drammatici. Per arginarli dovremmo probabilmente rivedere molte regole della nostra Società. A prima vista potrebbe sembrare facile attuando una divisione equa dei compiti tra genitori. Purtroppo non è così la perché la cultura sociale muta troppo lentamente ed è ostaggio di stereotipi e preconcetti difficili da combattere. Le aziende hanno un ruolo fondamentale nel processo di cambiamento culturale. Sto pensando ai congedi parentali per i neo papà e a politiche di incentivazione per chi li richiede. Anche l'esempio delle figure di vertice, incluso il Ceo sarebbe un traino importantissimo per il cambiamento. Un neo papà deve essere messo nelle condizioni di poter chiedere il congedo parentale senza subire conseguenze sulla sua reputazione aziendale o sulla sua carriera. Come avviene in molti paesi del Nord Europa».
Nei confronti delle mamme lavoratrici ci sono ancora troppi pregiudizi. La maternità, in molti casi, sul lavoro è vissuta come uno svantaggio. Come valorizzarla? E' possibile, secondo voi, trasformarla in una risorsa, una competenza da inserire nel curriculum?
«Purtroppo, la maternità è ancora uno svantaggio. Molte aziende, per fortuna sempre meno, guardano ancora l'età delle candidate donne nel timore che possano avere figli una volta assunte. Se però iniziassimo a parlare di “genitorialità” e non di maternità saremmo già a buon punto. Essere genitori cambia le persone ben più di qualsiasi master o specializzazione. Insegna che puoi fare tutto ma soprattutto che bisogna sempre essere in grado di inventarsi qualcosa per risolvere situazioni inaspettate. Ti ritrovi dalla sera alla mattina in un universo parallelo e d’improvviso capisci cosa significhi veramente la parola resilienza. Sola con un neonato che dipende in tutto da te e nessuno che ha dato le istruzioni, nessuna regola scritta da seguire. Tantissime cose da fare in contemporanea. Anche il multitasking diventa una parola concreta! Quando si torna la lavoro dopo la maternità si è più consapevoli delle proprie forze e delle proprie capacità. Tornano al lavoro dopo il periodo di congedo l'azienda ha dei dipendenti che andrebbero valorizzati magari aiutando i neo-genitori a comprendere queste loro nuove abilità, conoscenze e competenze. E questo naturalmente anche, e forse soprattutto, per i neo papà».
Gli anni più critici per le mamme lavoratrici sono soprattutto i primi dalla nascita del bambino. In che modo sostenerle? E come conciliare le loro esigenze con quelle delle aziende in cui lavorano?
«E' vero,i primi anni sono i più difficili, ma le difficoltà continuanoanche negli anni successivi . Sicuramente la politica di incentivazione degli asili nido è essenziale ma la chiave di volta è, ove possibile, il lavoro per obiettivi con orari flessibili, banca ore, e l’ormai collaudato smart working, che abbiamo imparato a conoscere bene in questo periodo di pandemia. Nell'ultimo anno abbiamo capito che tantissime attività si possono realizzare, conmedesima efficienza, a distanza, da casa. Appena avremo la pandemia alle spalle, sono sicura che non torneremo più indietro e sarà una grande conquista: si è bravi se si raggiungono gli obiettivi assegnati non perché siamo presenti. E poi un altro piccolo ma importante suggerimento che mi sento di dare: dopo le 17, salvo urgenze vere edeffettive, non andrebbero convocate riunioni».
In Italia il 73% del lavoro in famiglia è a carico delle donne. Come ridurre questo gap e favorire la condivisione?
«Prima o poi arriveremo alla condivisione, ne sono convinta. E se mi guardo indietro qualche passo avanti è stato fatto. Finalmente vedo qualche rappresentante di classe, qualche papà in sala d’attesa dal dentista con il figlio. Quest’anno anche tre papà nella chat della classe. Gli uomini stanno cominciando a prendere confidenza con un mondo che fino a poco tempo fa era considerato prettamente femminile».
Congedi parentali, servizi per l'infanzia e scuola a tempo pieno. Che misure andrebbero prese per sostenere la maternità?
«Tutti gli interventi di supporto sono necessari ma quello che darebbe il booster sarebbe il cambio di mentalità. Quando si inizierà a valutare la madre che lavora come produttrice di PIL e del benessere della società e non come colei che non si occupa dei propri figli, la "cattiva madre" , ecco lì ci sarà il vero lasciapassare per le donne a non porsi il solito dilemma: lavoratrice o "brava mamma"?».
Lo smart working può rappresentare uno strumento per aiutare la maternità? Andrebbe regolato e come?
«Assolutamente sì . Come ho fatto notare prima è l’unico aspetto positivo di questo anno cosi duro : lo smart working si può fare. La produttività non ne risente, anzi. Le aziende lo hanno capito e se si curerà poi l’aspetto dell’isolamento e quindi si muterà il concetto di ufficio da posto dove si lavora a luogo di incontro per sviluppare idee e risolvere tematiche, lo smart working sarà una modalità abituale di lavoro e la genitorialità e gli stessi figli ne beneficeranno».
Qual è stata la sua esperienza, diretta o indiretta, di conciliazione lavoro e maternità?
«La parola che mi viene in mente è fatica, corsa, ansia di non arrivare – al lavoro o a casa – in tempo . Lo sguardo perenne all’orologio e allo smartphone. La speranza che quella riunione (spesso inutile) finisse presto. Gli occhi di rimprovero dei figli o forse semplicemente il senso di colpa che parla e la famosa frase "ma non ci sei mai!". Le recite fissate alle 10.30 dalle mamme rappresentanti che non lavoravano le ho sempre vissute come una specie di vendetta: o lavori o fai la mamma. Piano piano si esce da questo tunnel con una sofferenza che diventa un grido di ribellione a tutela delle donne più giovani : quello che è stato fatto a me non deve essere fatto ad altre ( e infatti quest’anno faccio la rappresentante di classe!)».