Uffa, ci dicono sempre: stai calma, eh!». «Oppure ci dicono: stai zitta, tu!. E quanto ci pesa e ci offende quel loro modo di fare da presunti maschi alfa dei nostri stivali, da superomisti e misogini, da uomini deboli e perciò arroganti, da maschietti spaesati e presuntuosi». Tante le donne che parlano così. In una gara di femminismo. O di falso femminismo? La promessa che si fanno, le umiliate e offese, è che appena andrà qualcuna di loro ai posti di guida in azienda, nel partito, in ufficio, nella band musicale o nella compagnia teatrale e ovunque, il pink power sarà tutto diverso. Si spalancheranno le porte del futuro, trionferà la parità di genere anzi la supremazia finalmente della donna, vincerà la solidarietà tra sorelle (di più: gemelle e tutte monozigotiche), subentrerà l’orizzontalità al posto del verticismo maschio, si affermerà la condivisione delle scelte, lo sguardo femminile su tutto. E mai più il modello patria – cioè dei padri, ovvero dei padroni – ma il modulo matria, ossia la fuoriuscita dalle logiche di prima per creare, come nel film di Federico Fellini, la Città delle donne. Quella che nella celebre pellicola – che non piacque alle femministe del tempo – il grande maestro del cinema rappresentò come un congresso di attiviste in cui «basta col maschio, il futuro siamo noi». E appena l’ignaro Marcello Mastroianni si avvicinò a quella matria, ne fu spaventato e scappò a grandi falcate. Scapperemo? Intanto però capita che qualcuna – quante? – quando raggiunge il top dimentica le altre con cui faceva cordata da femminista di prima ma non da femminista di sempre. La gestione del potere, quella rifiutata come cascame del vecchio, come primitivismo di genere, come conservatorismo nemico del progresso, maschia, capita talvolta di vederla riprodotta al femminile. La sorella di colpo si fa suocera. La solidarietà sparisce e la matria che fine ha fatto? Si scopre di colpo che lavorare con i maschi può essere meglio. Non perché più bravi. Ma più comodi. Sono più semplici, e perfino sempliciotti, e dunque più facili da dirigere e da gestire (magari perché presuntuosamente convinti di riprendersi presto il potere come purtroppo spesso accade) e più liberi da incombenze familiari e domestiche e anche questo aiuta. E quando capita – non sempre, eh? – la Città delle donne rischia di somigliare alla solita Città degli uomini. La finta femminista, dimentica della sorellanza, si circonda di collaboratori maschi, perpetua la fratellanza ma con una donna al vertice, ripropone i metodi di lavoro e le dinamiche relazione del vecchio mondo che andava superato e rifatto e invece il cambiamento è continuità. Dopo tante promesse di riscatto e di rivoluzione, vince la restaurazione. E alla fine ci guadagna sempre il maschio.