Se Erika Stefani la invitasse a bere un caffè, non avrebbe dubbi su cosa chiederle. La prima domanda per il Ministro della disabilità ce l’ha sulla punta della lingua e dentro al cuore: cosa intenda fare per migliorare il livello civico delle persone nei confronti di chi ha un handicap. D’altro canto i “titoli” per formulare l’istanza li avrebbe tutti, visto che ha sposato un giornalista in carrozzina, paralizzato dopo un incidente in moto, fa parte del consiglio direttivo della Società Italiana di Midollo Spinale ed è co-fondatrice dell’Associazione para-tetraplegici del Nordest. Ed essendo medico specializzato in Urologia, è anche titolare dell’alta specialità in vescica neurologica e disfunzioni vescicali dell’Ulss 3 di Mirano (Venezia). Elena Andretta, per la verità, di suggerimenti da dare all’avvocatessa leghista scelta da Mario Draghi per questo delicato dicastero ne ha una serie.
Dottoressa Andretta, che cosa dà più fastidio a un disabile?
«Banalmente, la mancanza di rispetto. Cosa che si verifica spessissimo, magari quando si trovano i parcheggi riservati occupati dalle auto di chi non ha handicap. Nelle aree di sosta degli ospedali accade tutti i giorni. Queste situazioni scoraggiano e avviliscono profondamente i disabili».
Ma non sarà solo questo il problema.
«No, sicuramente. Ci sono tante carenze a livello sanitario: proprio in questi giorni ho avuto modo di vedere una ragazza in carrozzina che per problemi renali doveva essere pesata, ma nelle strutture sanitarie non c’è la bilancia per i disabili. Per non parlare delle pazienti che devono fare la mammografia, perché non sono certo diffusi gli apparecchi che si abbassano al livello di una persona costretta a restare seduta. Così come negli ambulatori ci sono ancora troppi lettini fissi, non regolabili in altezza. E poi c’è una drammatica incapacità di gestire le persone con disabilità mentale, che avrebbero bisogno di percorsi dedicati».
A cosa è dovuta la scarsa attenzione?
«Non c’è ancora nel nostro Paese una mentalità che porti all’inclusione nei confronti dei portatori di handicap. Per esempio, a un sessantenne in carrozzina viene dato automaticamente del “tu”, perché considerato più con compassione, che con attenzione. E in aggiunta medici e infermieri non vengono né incoraggiati, né tutelati».
Il disinteresse dove lo riscontra?
«A tutti i livelli. Anche nell’applicazione della legge 104, perché chi usufruisce dei 3 giorni di permesso al mese per assistere un parente disabile, al lavoro passa per un privilegiato e si trova ad affrontare discriminazioni continue».
Secondo lei è un vantaggio che a capo di questo dicastero ci sia una donna?
«Sì, perché in quanto tale ha una maggiore attitudine nel prendersi carico delle persone e quindi mi aspetto dal neo-ministro molta comprensione. È una questione di sensibilità, più che di competenze».
Che cosa significa vivere con una persona disabile?
«Per me è bello, anche con tutte le limitazioni che ci sono. Ma non credo possano dire la stessa cosa i familiari di disabili gravi, vedi tetraplegici o portatori di invalidità complesse. Situazioni che diventano ancor più difficili se ci sono risorse economiche modeste. Comunque il parente di un disabile ha un carico oneroso perché deve accudirlo nei bisogni quotidiani e nel contempo farsi carico anche di tutte le incombenze ordinarie, dal fare la spesa al portare i carichi pesanti».
Nell’ambito dell’handicap ci sono differenze di genere?
«Una donna risulta colpita al quadrato perché non può più svolgere tantissimi compiti. E poi per un uomo disabile è più semplice trovare una compagna, mentre a parti inverse è facile invece che la donna veda il partner allontanarsi. E possono testimoniarlo tante pazienti colpite da sclerosi multipla».
Erika Stefani ha un ministero senza portafoglio.
«Non mi stupisco, anche se capisco le difficoltà del momento. Certo è che senza risorse è difficile portare avanti le battaglie».
Che cosa dovrebbe fare a suo avviso con più urgenza?
«Avviare una campagna di sensibilizzazione, che abbia un grande impatto mediatico e in cui compaiano anche i disabili. È urgente, e doveroso, promuovere un’inclusione piena: attenzioni e rispetto purtroppo non sono ancora scontati».