Non è ancora finita. Il piano di vaccinazioni che già sapevamo essere lungo subirà rallentamenti dovuti alla complessità della produzione dei vaccini e, con ogni probabilità, non sarà il solo intoppo. Quasi mai tutto va come avevamo previsto. Pensare a come sarà dopo, in queste condizioni, non è facile. Molto dipende da quanto ancora durerà. Ma abbiamo un anno di esperienza alle spalle che sarebbe poco saggio non fermarsi a esaminare. Molto abbiamo appreso, in verità. E non c’è buona previsione che non poggi sull’analisi dell’esperienza raccolta. In questo anno lungo e breve allo stesso tempo, abbiamo visto cadere super-uomini, sia quando hanno infine esposto la malattia, come ha fatto Johnson in Gran Bretagna, sia quando la hanno nascosta, negata, minimizzata, la loro e quella degli altri, purtroppo, come ha fatto Trump. Abbiamo visto che premiare solo l’eccellenza sanitaria lascia gli altri troppo esposti. Abbiamo visto aule troppo piccole per classi troppo grandi, in attesa che i più deboli abbandonino. Abbiamo visto i riders correre su e giù per le città deserte, con il freddo e sotto la pioggia, peggio per loro se si ammalano. Ci siamo improvvisamente accorti che il cibo non nasce in scatole di latta o polistirolo, ma in campagna, affidato alle cure di persone delle cui condizioni di vita e di lavoro non ci siamo occupati granché. Abbiamo toccato con mano la condizione di interdipendenza in cui viviamo, ma ci siamo anche accorti che l’interdipendenza è una rete che non ci eravamo preoccupati di manutenere.
LA RETE
La psicologa dello sviluppo Carol Gilligan sostiene che la rete cattura una dimensione di vita specificamente femminile. Sostiene che le donne tendono a concepirsi come immerse in un contesto relazionale, una rete, appunto, in cui ogni nodo è legato a molti altri e non sussiste per sé. Non so se è vero. Le donne hanno più perso che guadagnato da questo tipo di stereotipi: la bellona stupida, la virago castratrice, la donna competente “dalle sfuggenti grazie”. Tuttavia, se è vero che un archetipo è uno stereotipo di successo, allora forse, in qualche caso, di un luogo comune possiamo fare utilmente un archetipo. Gli archetipi hanno questo di buono: sappiamo tutti che sono finti. Gli archetipi non sono lì perché noi li si possa eguagliare. Il viaggiatore Ulisse è lì per essere unico, eterno ed eternamente irraggiungibile. Gli archetipi sono modi semplici di trattare cose difficili: il viaggio e le radici, il bene e il male, il coraggio e la fragilità. Maschile e femminile non sono da meno. Proprio perché archetipi, non rappresentano uomini e donne reali, ma universi valoriali diversi ed opposti. Letizia Moratti che chiede più vaccini per i ricchi non incarna il femminile. Anthony Fauci sì.
LO SCENARIO
Nei mesi trascorsi, persino sorpresi da noi stessi, abbiamo indossato le mascherine quando dovevamo farlo, siamo stati a casa quando ci è stato chiesto. Siamo stati tutti un po’ più gregari, un po’ più dipendenti: dalla scienza tornata benigna, dalla politica non più inutile casta ma necessario coordinamento, da un’Europa non più muscolare, da medici e infermieri. Qualcuno ha gridato alla minaccia alla libertà personale, qualcuno ha visto eccessi di paternalismo. Ma un’altra chiave di lettura è vedere in tutto ciò l’offuscamento di un universo valoriale maschile e il prevalere di quello femminile, meno individualistico e contrattuale, più relazionale. Un cambiamento a cui dare il benvenuto. Molte donne ritengono che la promozione delle donne nelle posizioni apicali produrrà un grande cambiamento. Non sono così sicura. Più utile, mi sembra, sarà aiutare uomini e donne a capire, quando non lo hanno già fatto, che maschile e femminile sono parti in commedia e che più femminile, a quanto pare, è meglio per tutti.
* filosofa politica, docente di Studi di genere all’Università Luiss