«Le risposte su quello che siamo si trovano lassù». Marica Branchesi interrogava sin da piccola «i meravigliosi cieli notturni che osservavo dalla campagna di Urbino». E non ha più abbassato lo sguardo. Astrofisica del Gran Sasso Science Institute, la prima a rilevare le onde gravitazionali, inserita da “Nature” nel 2017 tra i primi 10 scienziati a livello internazionale. Quarantatré anni, due figli di 5 e 4, che «entrano, escono e giocano», mentre lei è in videochat con il mondo. «Sanno che la mamma studia le stelle e anche i buchi neri. Il grande, poco tempo fa mi ha detto: però mamma secondo me dovresti studiare gli asteroidi…».
Come riesce a conciliare scienza e maternità?
«Ero molto preoccupata, ma alla fine i miei figli si sono rivelati una grande fonte di energia e mi hanno insegnato a dare il giusto peso ai problemi di lavoro. Mi aiuta tanto il mio compagno (il collega Jan Harms, ndr), viviamo la gestione della famiglia e della casa in modo totalmente paritario. Nell’immaginario di tanti lo scienziato è uomo e fare scienza non è da mamme. Spero che un giorno la stessa domanda verrà fatta anche ai miei colleghi: come conciliare scienza e paternità… Allora saremo certi di avere raggiunto la parità».
Fanno ancora fatica le donne ad affermarsi come scienziate?
«Le cose non sono cambiate abbastanza, i numeri mostrano che non c’è ancora parità. I risultati ottenuti dalle scienziate sono messi più in discussione di quelli dei colleghi uomini. Quando frequentavo l’università di Bologna il numero di donne e uomini iscritti al corso di astronomia era lo stesso. Durante il dottorato di ricerca all’Istituto di Radioastronomia dell’Istituto Nazionale di Astrofisica noi dottorande eravamo di più. Mi sono resa conto dopo che era un’isola felice e che in realtà la disparità dei numeri inizia presto e cresce con l’avanzare dei ruoli che si ricoprono».
Perché, secondo lei?
«Penso che il numero basso di donne nelle facoltà scientifiche sia legata a molti stereotipi di genere che iniziano da bambini. C’è ancora una mentalità sottostante che non riguarda solo le scienziate ma le donne in genere che continua a vedere la carriera come un obbiettivo per gli uomini ma in conflitto con casa e famiglia per una donna. Alcuni stereotipi sono anche gender-balance, quelli ad esempio che mostrano sempre gli scienziati come geni solitari isolati dal mondo. La scienza è di tutti, le grandi scoperte di oggi sono sempre più risultati collettivi».
Quando ha cominciato a interessarsi di onde gravitazionali?
«Un po’ per caso e fortuna con il senno di poi. Volevo tornare nella città dove ero nata, Urbino, e lì c’era un gruppo che lavorava ad un’astronomia di frontiera, le onde gravitazionali. Solo quando ho cominciato a lavorarci ho capito veramente la potenzialità. Mi sono appassionata e incuriosita, ma quando ho fatto la scelta non potevo immaginare che avrei vissuto in prima linea delle scoperte epocali».
Cosa racconterebbe per appassionare i non esperti alle sue ricerche?
«Le onde gravitazionali sono un nuovo modo di esplorare l’Universo e di vedere quello che prima era invisibile. Conosciamo pochissimo dell’Universo ma i segnali che ci arrivano ci raccontano il passato e il nostro presente».
“Time” l’ha inserita tra le 100 persone più influenti al mondo nel 2018, un anno prima “Nature” tra i primi dieci scienziati a livello internazionale. Che doti deve avere uno scienziato per raggiungere questi traguardi?
«Vivo questa notorietà inaspettata con la consapevolezza che dovrebbe essere condivisa con tutti gli scienziati che hanno contribuito alle meravigliose scoperte degli ultimi anni. È una grande opportunità parlare a tante persone della bellezza e solidità della scienza. Per arrivare a dei risultati direi che si deve essere determinati, sognatori, entusiasti, curiosi, lavorare tanto, avere le giuste intuizioni, non avere paura di sbagliare, essere umili. E c’è sempre una dose di fortuna».
Quale è il prossimo obiettivo della sua ricerca?
«In questo momento lavoro molto per il futuro, alla prossima generazione di rivelatori di onde gravitazionali. C’è un progetto Europeo Einstein Telescope che permetterà di osservare con le onde gravitazionali tutto l’Universo. Inizierà ad osservare intorno al 2035 e uno dei siti che potrebbe ospitarlo è la Sardegna. Speriamo davvero che inizi dall’Italia questa esplorazione dell’Universo in grado di svelarci la sua origine e molto di ciò che ora è oscuro».
Qualche mese fa è stata eletta presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto nazionale di Astrofisica.
«È una nomina molto importante, avere la stima dei colleghi e poter contribuire con loro alle scelte scientifiche di un ente così prestigioso è una grande responsabilità».
La cosa più bella che le ha detto un suo allievo?
«Io lavoro al Gran Sasso Science Institute che è una scuola di eccellenza per dottorandi da tutto il mondo. La cosa più bella che mi dicono è che sono contagiati dal mio entusiasmo anche nei momenti difficili».