Non solo panettone, pandoro e torrone: ecco come ogni regione addolcisce le feste

Almeno in questo campo le polemiche stanno a zero.

Non importa sapere se Babbo Natale con abito rosso e barba d’ordinanza indossa oppure no il provocatorio tutù; né sapere se è festa solo cattolica o piuttosto periodo di passaggio tra un anno e l’altro, tra un prima e dopo. Da sempre la festa coincide col solstizio d’inverno. Lo ammette giustamente anche monsignor Giovanni Lo Giudice, rappresentante nella Città del Vaticano dell’Accademia Italiana della Cucina (la Cassazione in fatto di cultura del cibo). «Il Natale nella tradizione popolare – scrive in “Le festività religiose nella cucina della tradizione regionale” – era legato alla chiusura di un ciclo stagionale e all’apertura del nuovo ciclo. Prima del Natale cristiano c’era la festa del “sol invictus” (sole nascente) e del fuoco, la festa del dio della luce Mitra, celebrato nel giorno più corto dell’anno e quando le giornate iniziano ad allungarsi». Durante i Saturnali – dal 17 al 24 dicembre – nell’antica Roma era d’obbligo fare pace, interrompere gli scontri, scambiarsi doni. Fu l’imperatore Aureliano nel 274 D.C. a decidere che il 25 dicembre si dovesse festeggiare il Sole ed «ecco perché – aggiunge Lo Giudice – la festa del Natale è caratterizzata dallo splendore delle luci». Sarà poi Costantino, nel 325, ad abbinare Natale di Cristo e culto del Sole. Come per tutte le feste, il clou delle celebrazioni è a tavola e a tavola per molti il meglio del meglio è il “dulcis in fundo”. Il dolce, appunto. Ma eccoci di nuovo alle polemiche perché il Belpaese a Natale si divide tra panettonisti e pandoristi. La preferenza va per appena un 5/10% agli amanti del panettone (l’originale “pan de Toni” del Quattrocento a Milano) sul “pan d’oro” a imitazione dell’antico nadalin veronese con la forma a stella di cometa. Ogni regione ha però i suoi golosi dolci tipici che, anzi, faranno sfigurare i classici lievitati. Tra i più noti, il panforte di Siena, la bisciola delle montagne lombarde, il buccellato e la cubaita (torrone) in Sicilia, il pane di mosto (pan’e saba) in Sardegna, i turdilli (piccoli gnocchi) calabresi, lo zelten dell’Alto Adige. Fateci caso: a dettare gli ingredienti è la stagione. Spesso sono a base di castagne e farciti di canditi, uvetta e frutta secca (ché d’inverno non maturano molte varietà). E naturalmente uova e zucchero. Quest’ultimo – mi raccomando – mettetelo anche a mo’ di velo: fa Natale. 

VENETO

Dai Dogi del Cinquecento la bontà del mandorlato

Ma chi l’ha detto che “Natale + Veneto = pandoro”? In tutta la regione – non solo a Cologna Veneta (la capitale storica di questa tipicità) – il mandorlato non manca in nessuna casa. I Dogi lo offrivano già nel lontano Cinquecento e a Roma se lo faceva arrivare Pio X a inizio Novecento. La lavorazione è laboriosa, pur essendo composto da soli quattro ingredienti: mandorle, miele, zucchero, uova.

MARCHE

Bostrengo o frustingo la povertà è ricchezza

Povero che più povero non si può (ma buono che più buono non si può), anche il bostrengo marchigiano ha origini che si perdono nella notte dei tempi. È il dolce del focolaio domestico fatto con pane raffermo, uova e riso, insieme alla buccia degli agrumi. Il tutto mescolato col mosto d’uva cotto. Ogni famiglia aggiunge qualcosa. Il nome cambia da paese a paese (frustingo, tra i più noti).

LAZIO

Il goloso pangiallo noto sin dall’impero romano

È riduttivo chiamarlo dolce della nonna. Il Pangiallo (o pampepato) c’era già ai tempi degli imperatori romani. Il suo colore dorato, luminoso (celebrava, infatti, la festa del Sole) nasce dagli ingredienti: spezie, zafferano compreso, assieme a farine varie, mandorle e nocciole. Oggi c’è chi mette tocchetti di cioccolato fondente. È diffuso in tutto il Centro e particolarmente in Umbria.

CAMPANIA

Una cascata di miele per i mitici struffoli

Il miele è il protagonista principale anche del più famoso dolce natalizio di Napoli, gli struffoli (nel resto del Centro Italia si chiamano cicerchiate). Sono palline di pasta e liquore di anice, fritte nel burro o nello strutto, ricoperte di miele caldo e decorate con canditi o zuccherini. Il nome struffolo deriverebbe da “strofinare”, l’operazione necessaria per arrotolare l’impasto.

PUGLIA

Immancabili cartellate dall’impasto ben sodo

Non è Natale in Puglia (o a casa di un pugliese che vive lontano) senza le friabili e croccanti cartellate (crùstele, un altro nome) con o senza uova, con o senza lievito, sempre innaffiate – ma appena prima di servirle – nel miele o nel vino cotto. Per nulla facili da fare ci vuole grandissima manualità per farle. Il segreto è l’impasto che deve essere ben sodo e per nulla appiccicoso.

 

 

 

 

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