Era un sogno che non aveva sognato, Teresa. Dopo un’ora che ci parli, con la Saponangelo – la madre della Mano di Dio – capisci che prende la vita così a morsi che i sogni non fanno in tempo a definirsi: se li è mangiati prima, li ha fatti suoi come pezzi di vita vissuta. Ha una specie di legge sua, tutta sua, per evitare i rimpianti e puntare alla soddisfazione del qui e ora. Qui e ora è un volo per Los Angeles: assegnano l’Oscar e tra i candidati come miglior film non in lingua inglese c’è – otto anni dopo La Grande Bellezza – il film di Paolo Sorrentino, il film in cui un ruolo delicatissimo lo ha vinto proprio lei, Teresa, uno scricciolo potentissimo nato a Taranto, vissuto a Napoli e che ha spiegato le ali a Roma. Teresa Saponangelo è un vaso di Pandora di emozioni (se non l’avete vista nel film scherzare e piangere, implodere ed espandersi è colpa vostra). Citando Antonio Capuano, icona vera del film e della cinematografia napoletana, “non ti disunire, Teresa”. «Allora, essere lì è bello, bello, bello. Io non l’avrei mai pensata una cosa così, perché non era tra i desideri di quando cominciai a fare l’attrice quasi bambina. Ma ora che arriva “la cosa” sento la bellezza del fatto».
Lei, Teresa, è una donna molto brillante: una Grande Bellezza, me la passa come battuta?
«Sì. Sono molto emozionata e ho cominciato a non dormire la notte, qualche notte. È una bellezza grande sapere di essere lì, vista e giudicata da attori e registi che ho amato senza conoscere, che sono stati una ispirazione continua. Oggi guardano me, noi, e scrivono, magari, come ha fatto De Niro: una lettera di incitamento per il film così bella sui nostri singoli ruoli, su Napoli con cui Sorrentino gioca come fa Woody Allen con New York».
Cita non a caso Woody Allen, uno come Molière che sta per interpretare a teatro: il nero e la commedia che si fondono.
«Ha presente Pallottole su Broadway? Lì c’è l’altra grande passione mia, il teatro: ora il cinema mi dà notorietà e successo, ma a teatro godo. E in quel film c’è tutto del teatro: i ruoli della vita e quelli della scena. L’attrice cagna, la sdolcinata nevrotica, quello che scrive e che deve accettare i compromessi. E le raccomandazioni, i ruoli che a volte arrivano per come sei piazzato nel gioco delle relazioni».
Il giro per essere la madre di Filippo, che nel film è il Sorrentino adolescente, è stato lunghissimo: provino non superato per The Young Pope, per esempio.
«C’è voluto un percorso lungo, tra noi: ci conosciamo da talmente tanto, debuttammo insieme io attrice lui in produzione, nel 1995. Se c’è una cosa che vorrei spiegare ai giovani colleghi è che la strada è lunga, ed è bello così. La frenesia, invece, ti fa perdere strada e occasioni. Forse è per questo che l’Oscar non lo sognavo: io mi sento molto soddisfatta di quello che ho. Perché so di essere stata coerente: tornare a teatro per me non è mai un passo indietro, ma una tappa di arricchimento, anche se scelta che mi rende meno popolare di fare una fiction. E penso di avere avuto dignità soprattutto nell’errore: quando ti rifiutano. Eppoi la serietà nel gioco».
Eh sì, il gioco è una cosa molto seria.
«Seria, ma non seriosa: quasi un motto per me. Vedo molti colleghi che con “seriosità” perdono il contatto con gli altri: non si alimentano degli altri. Io scherzo spesso, come fa Maria il mio personaggio per Sorrentino: magari è narcisismo, ma io non sto al posto dove qualcuno mi vorrebbe relegare. E faccio la battuta, anche quella scomoda: come Cyrano, al fin della licenza, tocco. Mi piace alleggerire».
Maria è una giocoliera: fa ridere e tenere il fiato sospeso quando, da madre di famiglia, tiene in equilibrio una storia con un marito infedele e amatissimo o attira le attenzioni con scherzi tremendi e riuscitissimi o con tre arance palleggia come una circense.
«Lei ride, molto, e soffre tantissimo. Forse quel tipo di donna lì è figlia di un’altra cultura o forse solo ancora molto innamorata di suo marito. Io non lo sopporterei, un tradimento chiude la mia porta».
La sintesi dei mille colori di Maria (come quelli di Napoli, citati da Sorrentino anche nella canzone finale)?
«La scena in ascensore con Lino Musella: dal pianto per quel tradimento a un sorriso strappato con un gesto volgare, ma salvifico. Quella è la mia scena da Oscar di un personaggio che è amato per le sue tante sfaccettature».
E suo figlio Luciano, quasi coetaneo del Filippo/Sorrentino del film, gliel’ha assegnato l’Oscar?
«No, l’ha assegnato a Toni Servillo… Quando ha visto il film era molto emozionato, ma me l’ha dovuto dire: mamma tu sei stata brava, ma Servillo è più bravo».
Maria e Teresa: due madri.
«Questo ruolo mi ha aiutato a vedermi madre in un altro modo, con un’altra luce: nel quotidiano con Luciano sono la madre assertiva, che indica le regole cui lui cerca di sottrarsi. Quella dura, perché io sono così… rigorosa. Sono la madre del dovere. Maria è dolcissima e mi ha tirato fuori dal cuore quell’aspetto: la cura, l’accudimento, la presenza discreta. Quella con cui carezzo Filippo mentre dorme. Mi ha aiutato a uscire dalla compressione della responsabilità che sento come genitore. E Luciano mi ha scoperta diversa: più morbida, pacificata, serena. A Sorrentino devo anche questo: una grande opportunità come mamma e donna».
In questo film, il film più intimo di Sorrentino raccontando storia e tragedia della sua famiglia, con la perdita per un incidente dei suoi amatissimi genitori, ha un ruolo delicatissimo.
«Mi sono sentita amata, voluta bene da Paolo: è stato accogliente con me, in ascolto e disponibile. Posso dirlo? Non me l’aspettavo così ed è stata proprio una bella sorpresa».
I complimenti di De Niro e l’adrenalina che sale: ci proviamo a sognare, adesso, a ridosso della notte degli Oscar?
«Se fossi stata americana, nello star-system di Hollywood avrei sognato un film con Spielberg, ma sono figlia di questa nostra realtà e ho già avuto tanto. Soprattutto godo e mi diverto a scegliere sempre».
I riferimenti di Teresa Saponangelo?
«Nell’armadio ho una foto con Francis Ford Coppola: ci feci due provini per una pubblicità del caffè Illy. Non mi prese, ma mi ha scaldato il cuore. Poi dico tre grandi donne del cinema italiano: Vitti, Melato e Silvana Mangano. Tutte e tre belle e comiche: l’umorismo può essere sexy. Se la ricorda quella cosa delle battute che non so trattenere…»