Romana, trent’anni compiuti due mesi fa, fisico da top model e un talento comico irresistibile: Pilar Fogliati è l’attrice del momento.
Esce il 23 febbraio nelle sale Romantiche – finché non ci sbatti la testa, l’esilarante commedia di cui è regista debuttante e protagonista in 4 ruoli diversi, quelli di altrettante giovani donne che vivono a Roma e dintorni: l’aristocratica Uvetta, l’aspirante sceneggiatrice palermitana Eugenia, la pariolina Tazia, Michela che abita a Guidonia. Prodotto da Giovanni Veronesi, sicurissimo del talento poliedrico di Pilar, il film rappresenta la svolta dell’attrice che si era già fatta conoscere dal pubblico in film come Forever Young di Fausto Brizzi e recentemente nella serie Odio il Natale. Romantiche fa molto ridere ma è al tempo stesso un ritratto affettuoso, sia pure tragicomico, delle trentenni contemporanee tra sogni, ambizioni, scoperte, frustrazioni, fallimenti.
Che significa oggi avere la sua età?
«Confrontarsi con la cultura del successo e della perfezione che impone modelli spesso irraggiungibili. Ma significa anche essere delle inguaribili sentimentali: noi trentenni vogliamo vivere le emozioni fino in fondo pur sentendoci divorate dall’inquietudine. Avere 30 anni significa inoltre fare costantemente i conti con la precarietà».
Ha visto anche lei il video virale di quella ragazza laureata in ingegneria a cui hanno offerto un lavoro da 750 euro al mese, da lei rifiutato?
«Certo, e mi ha colpito moltissimo. Ha ragione ad arrabbiarsi, ma non è la sola. Mia sorella, laureata con 110 e lode al Politecnico di Milano, l’inglese parlato come l’italiano, si è vista offrire un lavoro da 600 euro al mese. Tutto questo è offensivo e aumenta il nostro senso di precarietà».
Lo prova anche lei?
«Ho scelto un lavoro incerto per definizione e, anche se da un paio d’anni le cose mi vanno piuttosto bene, non posso fare a meno di essere in ansia per il futuro. È un sentimento comune a tutte le persone della mia generazione. I nostri genitori davano per scontato che avrebbero guadagnato più dei loro padri, io invece non so se potrò mandare i miei figli alle stesse scuole selezionate che ho frequentato io o permettermi gli stessi viaggi che facevo da bambina».
Per le donne della sua età la maternità è un’opzione irrinunciabile?
«Il più delle volte siamo costrette a scegliere tra famiglia e lavoro perché la società non ti permette di conciliare tutto. Anch’io vorrei dei figli, ma in certi momenti mi sembra quasi un’utopia».
Cosa ha in comune con le quattro protagoniste del suo film?
«Le idee poco chiare sul futuro e uno slancio sincero verso i sentimenti. Tutte le mie donne si pongono domande esistenziali profonde».
Ha conosciuto molte trentenni come Eugenia che, dopo aver lasciato la Sicilia per fare cinema a Roma, è costretta a scontrarsi con il fallimento?
«Ne ho incontrate a decine, e forse sono stata anch’io un po’ come lei. Ricordo tanti pomeriggi passati ai tavolini del bar, tra una sigaretta e un bicchiere, fantasticando dei successi futuri. O le camere prese in affitto dai fuori sede dalle parti di Piazza Bologna. E quante volte ho sentito pronunciare il fatidico proposito “mi do tre anni e se non succede niente mollo”. Quella frase terribile l’ho detta anch’io».
Invece ce l’ha fatta.
«A 18 anni, dopo il liceo linguistico, affrontai l’esame di ammissione all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico sicura che, in caso di bocciatura, avrei lasciato perdere la recitazione. Invece per fortuna venni presa al primo colpo».
Oggi prevalgono precarietà, fallimento, incertezze. Ma c’è un aspetto della vita in cui voi trentenni siete avvantaggiate rispetto alle vostre mamme?
«Beneficiamo della libertà per cui loro hanno lottato duramente. Oggi io posso scegliere che lavoro fare o di chi innamorarmi. Ma un tempo non era così. Se mia nonna avesse manifestato la volontà di diventare attrice sarebbe stata presa a schiaffi dai genitori. E fino a pochi decenni fa in Italia esisteva ancora il delitto d’onore… Se oggi siamo libere e indipendenti dobbiamo tutto a donne molto più arrabbiate di noi che non hanno esitato a marciare per difendere il divorzio, il diritto all’aborto, le scelte femminili. Ma oggi la nostra libertà comporta un paradosso: più opzioni hai, più cresce la tua incertezza».
Cosa pensa delle quote rosa?
«Le ritengo offensive. Spero di essere apprezzata o odiata non perché sono donna, ma per il lavoro che faccio».
Come si immagina tra 10 anni?
«Vorrei essere centrata, risolta perché le persone così sono le più buone. E io detesto il cinismo. Ma vorrei mantenere anche un pizzico d’incoscienza della giovinezza».