Quando ci siamo visti sapevo che ci saremmo divertiti, perché Carmen Carla Consoli è una persona ironica e piena di specchi dell’anima: dove tu pensi di vedere una cosa, lei riesce a mostrartene anche un’altra.
Non la inserisci in categorie: tecnicamente è una cantautrice. «Ma su Spotify se cerchi cantautori italiani, non mi trovi: eppure qualche canzone l’ho scritta… In Italia non ci sto: sarà sempre per quella storia del peccato originale? Io, però, non ho partorito con dolore, cesareo», mi dice subito. Si è autoproclamata “cantantessa” non – come pensavo – per una scelta “politica” di linguaggio («ma il linguaggio è un’azione: sono buddista ma qualcuno ricorda che nel messale cattolico pensieri, parole, opere e omissioni sono sulla stessa riga»). La maternità cercata e ottenuta in solitudine con la legge che c’è ora: a Londra, pagandosi la fecondazione con donatore conosciuto e scelto. La legge restrittiva promossa da Giorgia Meloni e uno schieramento bipartisan lo vieterebbe adesso. Il rock che significa «roccia, ma anche l’atto di cullare: dolcezza e forza, vorrei proprio essere così». Parole di burro, ma che affondano come lama sul tema degli abusi familiari (con Mio zio ha vinto per quello il primo Premio Amnesty, il secondo pochi giorni fa con L’uomo nero). Confusa e felice da 25 anni, celebrazione che – dopo l’Arena di Verona – si ripeterà riprendendosi il centro del palco del Primo Maggio a San Giovanni. Con Marina Rei («la sorella trovata, la prima a volare da Roma a Catania quando morì mio padre, di lunedì») chitarra e batteria per l’evento che segna il ritorno dei raduni rock anche qui da noi.
Mi vergogno quasi della domanda: ma oggi lei è più confusa o felice, perché sembra una donna risolta?
«Confusa lo sarò sempre, lo sono ogni giorno in cui sono chiamata a prendere decisioni: per me, per mio figlio, per l’azienda di famiglia, produciamo l’olio Eco delle Sirene, è l’eredità di papà Giuseppe. Ma la felicità me la dà la sfida continua per il riordino della vita. Confusione positiva, è», detto così, alla siciliana.
Vive tra Catania e Puntalazzo vicino alla Milo di Battiato.
«Questi giorni ha nevicato: vedi il vulcano e il mare alle spalle. Una bellezza che ti toglie il fiato. Un magma denso che non brucia e con una bella voce, che si fa deviare. Lì ci si incontrava con papà Franco, che amava la cucina di mia madre, ma che apriva la sua casa a tutti: ecco, quando parlo di padri e madri anche senza concepire penso a figure di grandi italiani come lui. Certe canzoni ci hanno insegnato più di mille rimbrotti in casa. Gli devo tantissimo».
Scusi Carmen: cantantessa è un neologismo che afferma qualcosa di identitario?
«Veramente no. È una storia nata per scherzo. In studio un fonico sudafricano doveva zittire la cagna del produttore, Mela, e disse: fate tacere la canessa che non sento la cantantessa. Il gender linguistico non c’entrava. L’Etna è maschio e piuttosto le donne si riapproprino della vocale “O”: chiamiamo le nostre bambine Carmelo. Nessun pre-giudizio, questo è quello per cui le donne devono lottare. Ricordando al mondo che siamo noi i grembi fertili, anche quando non concepiamo».
Carmen madre rock.
«Me la sono conquistata la maternità, l’Italia dovrebbe ringraziarci anche quando si fanno scelte come la mia e di tanti altri che sono dovuti andare all’estero per farlo come volevamo. I migliori professionisti all’estero, e io l’ho fatto a Londra, sono italiani. Un vero peccato dover andare lì a spendere tanti soldi. Sarebbe auspicabile un po’ più di laicità e rispetto, tanto tanto rispetto per l’altro».
Carlo Giuseppe compare nell’ultimo video, Una Domenica Al Mare.
«Un bimbo di nove anni che cresce bene, con pagelle meravigliose, un profilo psicologico brillante. E soprattutto è sereno: intorno a sé ha figure maschili importanti. Sa tutto della sua storia».
Come lo ha informato?
«Non si devono mai avere pregiudizi o non detti sulle nostre origini: la verità prima di tutto. Gli ho spiegato da dove viene, ha visto i video del suo embrione, di me in clinica. A 15 anni, se vorrà, potrà conoscere il padre biologico, un medico che ama Bach e la filosofia orientale, ma per ora non ne vuole sapere. Dice che vuole restare lui il maschio alfa di casa, ma io gli ho spiegato che non sono una “fimmina” beta, io. È molto ironico, anche Carlo. Non gli do tanti precetti: vedo che apprende per esempi vicini. Non fare agli altri quelli che non vuoi venga fatto a te… Cerca il Budda negli altri. E così lo vedi che spontaneamente fa il baciamano, che quando siamo ospiti saluta per primo e offre un fiore alle signore amiche di mia madre».
È innamorata della sua maternità.
«Non avrei mai immaginato che fosse una cosa così stravolgente: mi stupisco di quanto sia grande l’amore per questo essere. Mi ha fatto diventare materna nei confronti di tutto: ero più cupa e combattuta prima, avevo una tensione emotiva che non mi faceva vivere bene il successo improvviso. Scrissi Mediamente Isterica, lo ero: oggi sono raramente isterica. Ripenso a quel periodo in cui, anche grazie al buddismo ho cambiato il ritmo della mia vita e mi viene in mente Pirandello e Uno, nessuno e centomila».
Pirandello?
«Ha presente Vitangelo Mostarda che scopre dalla moglie di aver il naso storto e impazzisce? Immaginate quel naso dato in pasto ai social network… Un po’ mi sentivo così e allora ho fermato il tempo. A me serve tempo per snodare un ragionamento. Non volevo essere più bulimica o anoressica del tempo: scrivo un disco ogni sei-sette anni, quando va bene. Se non posso rispettare queste regole, faccio farsa: metto una maschera simpatica per il tempo strettamente necessario. Ma non voglio più avere scadenze: troppo importante la famiglia, per la cantantessa. Con Marina Rei abbiamo scritto che di fretta non ne abbiamo».
Anche sul palco del Primo Maggio?
«Siamo donne rock entrambe: io so che lei per me ci sarà sempre, come e più di una sorella».
Anche se voleva fare la rockstar, come dice nel titolo dell’album.
«Il tempo me lo sono ripreso e la musica lo completa perfettamente: vengo da una famiglia facoltosa e gestisco anche i lavori di famiglia. Non mi serve per vivere, ma per vivere bene la musica. Quando ho voglia, riunisco un po’ di amici in una saletta come facevamo quando avevamo 15 anni e impazzivamo per Joni Mitchell o volevo sposare Paul Morrisey degli Smiths: a Catania non volevamo maritarci con Simon LeBon, ma con lui».
Il tempo è pieno di studi: triennale di teoria musicale a Berklee, negli Usa. Ora Architettura.
«Gli esami fanno lo slalom con il tour che riparte: un anno fa ne ho saltato uno perché c’era la serata dei 25 anni di carriera all’Arena… Ma ho tempo: non voglio diventare un architetto ma studiare e fare esami per capire. Così come ho affrontato la matematica (mentre parla è con il professor Romeo, il suo insegnante, ndr) o la teoria musicale. Ho scoperto che in quello che ci emoziona, anche se scritto spontaneamente, si scopre un’armonia numerica. E così anche la matematica è diventata una passione: il prof mi dice che certe funzioni ed espressioni sono anche sexy. E mi sa che ha ragione: mi ha insegnato a far parlare gli assiomi».
Illuminista siciliana fu, questa Carmen.
«Leopardiana: metà illuminista e metà neo-romantica. Scelgo Leopardi perché non ci sono autrici donne nelle nostre antologie».
A proposito di autrici donne: ci parla delle Malmaritate?
«Un progetto aperto a donne come Nada, Claudia Gerini, Donatella Finocchiaro. Seguendo la maestra di tutte noi cantantesse Rosa Balistreri: le malmaritate nel Medioevo erano donne benpensanti e scriventi che cantavano canzoni su amori sognati, visto che le facevano maritare con uomini non scelti da loro. Ha presente Mi votu e mi rivotu (la canta per noi, se ascoltate il podcast, ndr)? Poi l’attribuirono a Bellini, cambiata la seconda strofa al maschile».
Lei ha scritto Mio Zio, canzone contro gli abusi in famiglia, e la Signora del Quinto Piano, progetto cantato con Emma, Elisa, Irene Grandi, Gianna Nannini e sposato dal numero 1522 per denunciare stalking e violenza.
«Le mie storie sono sceneggiature che non riesco a portare al cinema: di quelle storie io vedo i protagonisti. Sono le storie che ho intorno: non c’è un disegno “politico”. Ma le canzoni come i film aiutano ad arrivare nel profondo per lanciare un messaggio. Anche se qualcuno di Mio Zio disse che sembrava un inno alla pedofilia: io non faccio sarcasmo, che è umorismo contro, ma ironia che il fenomeno lo assorbe».
Primo Maggio, poi Lucca e il tour: bello tornare, ma non saremo liberi fino in fondo… C’è la guerra.
«Vivo questa cosa con un disagio enorme: come posso spiegare a mio figlio questa involuzione dell’uomo? Dopo i camion di Bergamo, quei sacchi neri nelle fosse comuni… Lui sente di questa cosa del gas e allora mi dice: viviamo a lume di candela, con il camino acceso, non diamo i soldi a Putin».
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