Dovrei trattarla come la tratta la stampa americana? “Legend”, “Italian icon”.
È in arrivo anche da noi il primo maggio Un altro piccolo favore, sequel Usa di un noir con Blake Lively e Anna Kendrik dove Elena Sofia Ricci ha un ruolo da suocera super dark. «Ho letto certe recensioni, ricevuto telefonate dall’America che mi hanno davvero fatto piacere e sorridere. In una mi definiscono “Monster in law”, che tradurrei in “mostro di suocera”. Bene: nel film di Paul Feig sono più che una dark, direi una darkona… Amo il thriller grottesco».
Lei mi toglie subito dall’impaccio e fissa le regole d’ingaggio. Di fronte a me un sorriso, il suo davvero iconico per quanto accogliente, un paio di “C” aspirate per sentirci a casa sua, Firenze, anche se è romana d’azione e adozione ed è certificata da anni di Cesaroni: «Non vedo l’ora di vedere la nuova stagione, è stato divertente ma le cose poi devono anche finire».
A proposito di macchina del tempo: Hollywood s’è trasferita in Italia per averla, a Hollywood nel 1988 disse no.
«Superai il provino per il ruolo di protagonista in Revenge, accanto a Kevin Costner, ma la Columbia mi propose un contratto capestro. Cinque anni dimenticandomi dell’Italia; ruoli e scene sceglievano tutto loro. Ho preferito restare un’attrice libera. Anche Virna Lisi scelse la famiglia, ma lei ce l’aveva già, la famiglia. Anche io ho scelto la famiglia, ma ancora non ce l’avevo. Sapevo, però, che volevo la libertà di costruirmi la mia vita qui».
Prima porta girevole: una famiglia con mamma grande scenografa (“la prima donna scenografa di Cinecittà”), nonno grande architetto mangiapreti.
«Cominciamo dalla musica: chitarrista classica. Chitarra appesa al chiodo dopo aver sposato un compositore e chitarrista (Stefano Mainetti, la storia è finita nel 2022 dopo quasi 20 anni, ndr). Ma la passione vera era ed è per la danza. Poi volevo essere una psichiatra: mi attrae la psicopatologia. Vengo da lunghe esperienze di psicoterapia, momenti importanti per me. Ho anche in mente un progetto che riconnette il mio ruolo attuale e la psichiatria. Sto scrivendo una cosa. Vedrete…»
Uno dei suoi ruoli di successo è quello di una profiler, Teresa Battaglia.
«Io non sono così: sono il peggior cieco, quello che non vuole vedere. Tendo a vedere il bello delle cose, delle persone: come profiler sarei una mezza sega. Il lato negativo esiste, ma penso che sia meglio vivere così: trovo sprecato il tempo a vedere il bicchiere mezzo vuoto. Il sospetto è faticoso».
Nel “no” a Hollywood ha pesato la famiglia: oggi ci sono due figlie, alcuni rapporti storici e profondi. Definisca famiglia.
«Emma e Marta. L’uomo della mia vita l’ho avuto (Mainetti, ndr) ma le cose sono andate dolorosamente e ho scelto di stare sola. E sto bene. La famiglia è chi ho scelto in questi 63 anni: non è un cromosoma o il sangue che ti mette in contatto. Ho una famiglia numerosa, in questo senso. Persone con cui sono accordata con il diapason, come quando tiri le corde della chitarra. Ho ritrovato delle amiche delle elementari, 55 anni dopo, ed eravamo le stesse di allora col grembiule».
Il Parlamento europeo ha voluto conoscere da vicino la storia della Farfalla Impazzita, Giulia Spizzichino.
«Ho sentito una grande responsabilità nell’interpretare quella donna: una famiglia sterminata alle Ardeatine e quello sguardo dritto negli occhi quando riuscì a far processare Priebke. E quelle frasi che ho voluto fortemente nel testo: una mi colpisce per attualità. Tutti i carnefici sono carnefici; tutte le vittime sono vittime, in ogni tempo e in ogni luogo».
A Suor Angela sono legate tante cose: “Che Dio ci Aiuti” è storia della tv da 15 anni, ma anche momento di trasformazione per lei. Chillemi nel descriverla come compagna di set e vita l’ha definita “buona”.
«Di questi tempi si fa facile a far passare per fessa una troppo buona, ma quello di Francesca è un complimento che mi descrive: io riesco a voler bene alle mie colleghe. Certe volte penso sia la pigrizia: a voler male si fa fatica, l’invidia e la competizione costano pezzi di vita. È bello riconoscere il valore degli altri».
Essere suor Angela l’ha portata dall’agnosticismo alla fede.
«Suor Benedetta mi aiutò ad entrare nella parte, ma poi è divenuta parte della mia vita. Ha spalancato una porta della mia vita: ho riscoperto il Cristo progressista e gran figo, quello che piaceva anche a Pasolini. Mio nonno quando voleva offendermi mi diceva: tu pari cristiana… Ma io con Benedetta ho capito che certe cose intorno a me erano segnali».
Sento spesso dire dalle donne che nel vostro ambiente manca una solidarietà, una sorellanza.
«Io non lo direi, invece. E non lo dico: sono reduce dal set e dal successo di Ozpetek di Diamanti, un coro di donne che si sono volute bene. C’è una predisposizione materna, nelle donne, anche in quelle che non hanno figli: la natura ci fa capaci di generare qualcuno diverso da noi. Quello che nasce non sei tu, è già altro da te».
Che madre è, Elena?
«Rompiscatole, normativa. Cerco di mettere i confini: i confini sono fondamentali, ma osservo una generazione giovane in un momento complicato. Interpretando Rita Levi Montalcini ne ho condiviso una frase: essere giovani oggi è più difficile».
E che figlia è stata?
«Mamma voleva un maschio: dovevo essere un Matteo, credo. E dovevo essere il suo braccio armato. Non mi voleva attrice: ai tempi nella mia casa borghese fiorentina gli attori e le attrici non godevano di buona fama. Poi, lei la pioniera delle scenografe italiane, mi vide recitare e fu di grande sostegno. E prevedeva il mio futuro: una strega buona».
In che senso?
«Mia mamma aveva lo stesso tumore della mia amica Eleonora Giorgi, che con la sua forza ci ha fatto un regalo enorme: quando ti dicono pancreas è una sentenza di morte. Io non volli farglielo sapere. Non avrebbe retto, avrebbe vissuto male tutti i suoi giorni. Paolo Sorrentino lo sapeva e mi fece un grande regalo: io ero Veronica Lario in Loro e lui organizzò una proiezione privata per mamma, temendo non ce la facesse a vederlo… Lo vide e mi disse: “O Elenina, te tu vinci il David con codesto ruolo. Io so’ strega”. Morì pochi giorni prima dei David: vinsi quella statuetta. Da qualche parte l’ha saputo».
Cosa è stato quel ruolo per lei?
«Un grande dono. Veronica e Silvio che si lasciano in una cucina, come tanti di noi, sono la fine di un progetto di vita e un dolore immenso. In quella cucina ci siamo tutti noi».
Alla morte di sua madre è legato un impegno che si era presa per se stessa e le altre donne.
«Ho subìto un abuso a 13 anni: non volevo che lo sapesse mia madre, che si sarebbe sentita responsabile di avermi quasi consegnato a questo abusatore, uno conosciuto. L’ho negato anche a me stessa, ma poi quando mamma non c’era più, io dovevo raccontarlo: so che ho fatto una cosa importante, come essere testimonial delle campagne civili. Raccontando il mio abuso forse ho salvato una donna, ho spinto qualcuna a denunciare. E tante mi hanno ringraziato. Noi persone famose possiamo fare la differenza, un dovere che sento. E dunque lo faccio».
A chi dice grazie, Elena?
«Avati, che mi fece conoscere sul set di Ultimo Minuto; Tognazzi per un ruolo che era la storia di me e mio padre che non vedevo in quel tempo. Poi Pino Passalacqua, padre putativo, maestro di vita e di palco. Sento tanto la mancanza di Armando Pugliese: lutto pesantissimo per me e il teatro».
Lo sguardo dove è rivolto, a questo punto della vita?
«Avanti, guardo avanti: ho tante cose da fare. Mi sento una ragazza di 63 anni. Che ora sa di aver fatto scelte giuste: nell’82 cominciai facendo gli sceneggiati. Il cinema per molti anni non me l’ha perdonato: le serie tv oggi le vogliono tutte, allungano la vita e moltiplicano i ruoli per le donne che sono vincenti in tv. E grazie alla popolarità riempio il mio amatissimo teatro. Un circolo virtuoso: nei giorni scorsi ho visto Alegrìa, lo spettacolo del Cirque du Soleil. Mi hanno colpito due numeri…circolari. La poesia di un acrobata che come un uomo vitruviano fa le sue evoluzioni dentro un cerchio. Poesia della vita, la sua. Uscito lui è entrata una contorsionista cinese che da uno è passata a gestire 250 cerchi roteanti. Panariello era dietro di me e mi diceva che seguivo roteando l’evoluzione: ci siamo fatti grandi risate e sentiti anche noi circensi. Poi ho pensato quanto è femminile quel destreggiarsi vorticoso nel cerchio della vita. No?» .
Sì.
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