C'è un’unità di misura per calcolare la discriminazione sociale delle donne. La coda davanti ai bagni. «È sempre più lunga rispetto a quella degli uomini. Anche perché spesso è incombenza femminile accompagnare i figli piccoli o l’anziana madre. Ecco, in azienda abbiamo cominciato così, facendo un po’ di provocazione. E adesso, dopo un anno e mezzo, possiamo dire di aver compiuto una piccola rivoluzione interna per la parità di genere», riflette Simona Liguoro. È a capo delle risorse umane di Nespresso ed è anche una donna appassionata, convinta che se in Italia il 92% degli amministrato delegati e l’82% dei dirigenti aziendali sono uomini, è necessario cambiare un mondo disegnato a immagine e somiglianza maschile. Per garantire le stesse possibilità alle giovani di fare carriera.
IL PROGETTO
Così si è tuffata con entusiasmo nel progetto lanciato nel 2019 dall’azienda pioniera delle capsule di caffè in alluminio, con oltre 850 dipendenti e 70 boutique in Italia. «Abbiamo cominciato a contare quante donne ci fossero all’interno dell’azienda e ci siamo resi conto di avere un problema: rappresentano il 67% dei dipendenti, ma più in alto si andava e più la loro presenza si rarefaceva», spiega Simona Liguoro. È lo specchio di una realtà diffusa e consolidata: negli ultimi dieci anni nei Paesi del G20 il numero di donne ai vertici delle aziende è cresciuto solo del 3,3%. La multinazionale del caffè ha deciso di correggere la rotta e il punto di partenza è stato come affrontare il problema. La soluzione immediata era avviare programmi di empowerment femminile e perpetrare l’idea che siano le donne o le persone discriminate a dover cambiare per accedere a un mondo che dà loro poco risalto, ma aveva tutta l’aria di una strada già battuta che non produceva un vero cambiamento. «Sostenere che le donne debbano essere coraggiose, libere e assertive invia il messaggio che siano loro a essere sbagliate e a doversi adattare alle circostanze», è l’approccio adottato dalla manager. Che ha ribaltato l’approccio: bisogna lavorare sulla cultura, affinché cambi il contesto intorno alle donne e diventi su misura anche per loro. Da qui l’adozione di un linguaggio inclusivo (con l’uso dello “schwa” al posto della desinenza maschile) e una nuova gestione degli spazi, a cominciare da dettagli di convivenza solo in apparenza banali. «L’aria condizionata negli uffici, per esempio. È testata sulla temperatura basale di un uomo che pesa mediamente 70 chili, per questo le donne hanno sempre freddo», sottolinea l’Hr Director. Definita la cornice, si è alzata l’asticella affinché le donne abbiano le stesse opportunità dei colleghi. A cominciare dalla cruciale questione dello stipendio.
«L’azienda offre la possibilità di ottenere l’incremento del salario ed eventuali avanzamenti di carriera anche durante il periodo di maternità, permettendo alle donne di non perdere dal punto di vista economico un anno o più e di non rischiare di rientrare al lavoro con uno stipendio inferiore ai colleghi dello stesso livello», puntualizza Simona Liguoro. Inoltre sono cambiati i processi di valutazione dei risultati, per sradicare stereotipi di genere a discapito delle donne. Uno fra tutti, la diversa lettura di uno stesso comportamento: «L’aggressività è storicamente percepita come segno di leadership in un uomo e respingente in una donna», considera la manager.
LEADERSHIP
Fino alle politiche di reclutamento, che favoriscono un bilanciamento tra componente maschile e femminile in fase di selezione, e alle posizioni di leadership per le donne. «Grazie a questi interventi, il 48% delle posizioni manageriali è femminile. Il nostro obiettivo è una suddivisione al 50% in tutti i livelli organizzativi. Quando abbiamo cominciato la rappresentanza femminile in posizioni di leadership nell’head office era del 22%, siamo arrivati al 37% in un anno», calcola l’Hr director. Tutto il comitato manageriale di Nespresso Italia è coinvolto nella discussione di libri e testi dedicati alla parità di genere, la partecipazione a tavole rotonde avviene solo se è garantita una partecipazione mista: l’azienda chiede chi sale sul palco, nel caso siano tutti uomini l’invito viene respinto, spiegando il motivo del rifiuto. «Alcuni fanno finta di niente e nemmeno ci richiamano, altri accolgono il suggerimento e ci propongono un panel equilibrato. E i risultati spesso sono sorprendenti», racconta Simona Liguoro. «L’altro giorno parlavo a un convegno, alla fine mi ha avvicinato una delle persone a cui abbiamo detto no: “Ci è servito, ora ci pensiamo con attenzione”». Tanti passi che, uno dopo l’altro, fanno la forza delle donne, ancora oggi in affanno «perché, banalmente, chi decide è un uomo». E allora «dobbiamo insistere, finché gli uomini non avranno la vera percezione della realtà e le donne mostrano che il cambiamento è possibile».
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