Greta Scarano: «Combatto per essere pagata come merito. Non ho il mito del matrimonio. Figli? E' anche bello adottare»

Cammina come se nascondesse qualcosa, non vuole che quegli occhi con i capelli biondi prendano il sopravvento.

La sobrietà del look, quasi posturale, è un valore, se vuoi essere l’avvocata che difende le vittime del Circeo (la serie su RaiUno in onda dal 14 novembre), ma quasi, contemporaneamente la donna che scopre il suo uomo essere da sempre innamorato di un altro (in Nuovo Olimpo di Ozpetek, dal 1 novembre su Netflix) o la rockstar che sei stata da ragazzina, con voce e batteria suonando e girando un film (Who to love) con Dave Stewart degli ex Eurythmics. O diventando Ilary Blasi, svelando al mondo quanto determinata fosse e determinante fosse quella donna mai stata “la fidanzata di Totti”. Poi, però, gli occhi li apre. E capisci un sacco di cose. Se gli occhi si posano, però, sulle pagine del Messaggero dei giorni tremendi della strage del Circeo, allora sono brividi. Quel processo ha cambiato l’Italia, perché ha cambiato le donne, lo vedranno milioni di donne e uomini ora su RaiUno. C’è il processo al centro, le lunghe ore degli stupri e l’uccisione di Rosaria Lopez, il salvataggio davvero fortuito eppure tragico per gli esiti di vita di Donatella Colasanti. Un incubo che ricorre. Greta Scarano qui rappresenta uno dei pochi ruoli di fantasia, una giovane avvocata al fianco di Tina Lagostena Bassi, femminista al fianco delle femministe che in aula a Latina e poi a Roma costringeranno l’Italia a non voltarsi di fronte alla ferocia animale di Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira. Greta è in un momento artistico molto interessante che l’ha costretta a guardarsi indietro ben oltre la data della sua nascita. Parliamo di tutto questo, ma Greta resta con gli occhi fissi su quelle pagine. Greta, la vedo scossa da questa lettura.

«Brividi, sì, entro in questo giornale, nella prima pagina che annunciava il ritrovamento al quartiere Trieste. E poi rivedo certe scene della serie in cui Teresa, il mio personaggio parla proprio con i giornalisti del Messaggero, suoi amici, e discutono di linguaggio alla pizzeria Formula 1 di San Lorenzo che c’è ancora. E quello che vedi, rileggendo i giornali dell’epoca, è come la sopravvissuta, Donatella, nella serie la splendida Ambrosia Cardarelli, sia stata vittima anche dell’enfasi politica. Allora nessuno parlava di vittimizzazione secondaria. Le foto ovunque, anche in ospedale, l’esposizione della morte: il funerale di Rosaria con lei in abito da sposa bianco. Perché la verginità era un’aggravante anche comunicativa, allora, di un omicidio. Non si risparmiava niente per il racconto. Realizzare oggi questa rilettura, con una scrittura e un punto di vista molto femminile, è importante».

La sentiva addosso questa responsabilità, girando Circeo?

«Sì. Mi ha aiutato condividerla, la “sorellanza” con una ragazza come Ambrosia Cardarelli-Donatella, con il punto di vista femminile delle sceneggiatrici Lisa Nur Sultan, Viola Rispoli e Flaminia Gressi e un regista uomo come Andrea Molajoli. Quello che capitava al processo a Latina: le femministe arrivavano da tutta Italia, si davano i turni per non mancare un’udienza al fianco della Lagostena Bassi e delle vittime».

Che set è stato?

«Siamo stati molto bene, ma è indimenticabile il giorno in cui giravamo nella villa degli orrori, il monologo di Ambrosia-Donatella in cui ricordava tutto: staff, comparse, tutti piangevamo a dirotto».

Ha ripensato a Circeo, leggendo di Palermo e Caivano?

«Certo. Era il 1975… e oggi per me il bicchiere resta mezzo vuoto. La vittimizzazione secondaria oggi è un social dove si dice che te la sei cercata. E nei processi le ricostruzioni e certi interrogatori delle vittime. Nella nostra cultura certe cose resistono: guardi Circeo, senti Teresa e le sue parole sembrano dette oggi. Per fortuna allora ci fu Processo per stupro, nel ‘79, tutti hanno potuto vedere. Circeo era anche altro: era violenza di classi sociali diverse, era politica perché Izzo, Ghira e Guido erano i fascisti di Roma nord. Palermo e Caivano è più becero e racconta una cultura dello stupro in generazioni che forse assumono il porno come normalità».

Greta, come li facciamo comunicare questi mondi: uomini e donne?

«Il femminismo non è il contrario del maschio, per me. Servono uomini illuminati. Servono sentenze migliori, in certi processi. Per quanto riguarda la sessualità basterebbe ripartire sempre dal consenso».

Scarano e la bellezza: la vedevo arrivare al giornale e pensavo quasi la volesse nascondere.

«Ha presente il libro della Wolf, Il mito della bellezza? Ecco, l’estetica per le donne rappresenta ancora una coercizione autoinflitta. Saremo libere solo quando ci truccheremo perché piace a noi. Questo va insegnato ai figli e alle figlie: non fare nulla che non sia giusto ai tuoi occhi. Qualche giorno fa ci siamo rincontrate con le amiche del liceo: per due ore abbiamo parlato di creme anti-cellulite, ci siamo confrontati i culi e scherzato, ma potevamo raccontarci di più».

È sempre stata così?

«Anche peggio: da ragazzina ero una batterista e cantante che viveva col mito del rock anni Settanta… Vede quanto torna quel periodo, lo stesso di Circeo e Nuovo Olimpo. In camera ho dipinto un murale di Dark Side of The Moon. Janis Joplin era ed è ancora il mio mito. Essere attrice mi costringe ad essere più volte in piega, ma io sono questa che vede: senza trucco, vestita semplicemente e senza piega».

Nella band rock con Dave Stewart e Mokadelic c’è tornata. Come vede Victoria dei Maneskin?

«Victoria è bellissima e carismatica: mi auguro che lei e le altre ragazze così forti e libere si rendano conto che tutta questa loro libertà arriva da battaglie come quelle che hanno avuto come simboli le vite di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti».

E quali sono state le conseguenze di Ilary Blasi su Greta Scarano?

«Quel ruolo mi ha come liberato: finalmente un ruolo leggero, perché Ilary vive con leggerezza e libertà il suo non essere mai stata la “fidanzata di…” Una che si espone sempre e non si risparmia, volitiva. Anche io non sono mai stata la fidanzata di… Era contenta di me, Ilary: mi aveva amato in Squadra Antimafia. Mi è dispiaciuto veder finire l’amore con Totti: era un sogno a cui eravamo affezionati».

Parlava di maternità.

«Sul set sono stata sposa, a partire da Romanzo Criminale, e madre. Ecco, del matrimonio non ho il mito. Fare l’attrice ti fa distorcere un po’ la realtà. Io penso che è bellissimo essere madre, ma anche adottare. Ma che devi fare un bel patto con te stessa e con tutti gli spazi che ti sei conquistata nella vita. Io sono istintiva e frettolosa, ma la maternità è invece qualcosa in cui credere di brutto».

In Nuovo Olimpo è una donna innamorata di un marito che sfugge da trent’anni al suo vero amore, per il suo amico.

«Quando lavori con Ozpetek entri in una poetica, in una visione dell’amore, dell’estetica. È un regista che gira come fosse sempre il primo film. Qui la storia lo coinvolge più direttamente: il regista che conosce in quegli anni Settanta di una Roma così libera, anche sessualmente, di diritti che si stavano conquistando, è lui. È il suo arrivo a Roma. Il mio personaggio dice una frase che viene scolpita alla fine di tanti amori: “Non mi hai mai guardato come guardi lui” dice rivolto al marito. Ma è anche una donna che ha intuito, che sapeva mancasse qualcosa, che c’era un mistero non svelato. Ma si tiene tutto, anche questo».

Questi anni Settanta che tornano.

«Il divorzio difeso nel 1974, poi la battaglia seguita al Circeo, l’aborto legalizzato nel ‘78, il delitto d’onore cancellato dal codice… E la battaglia per fare dello stupro un reato contro la persona. In un tempo di libertà così diverso da certe regressioni che viviamo oggi. Sono stata anche la Minardi donna del Dandi… Non li ho vissuti, ma li ho sempre sognati: nella musica, nelle playlist che dedico ad ogni mio personaggio. Per Teresa in Circeo c’era tanto Dalla. Ma anche Vasco, che non c’entra coi Settanta ma che ho capito tardi e fatto diventare mito. Mia sorella a 18 anni mica lo accetta: lo capirà dopo, come me».

Bicchiere mezzo vuoto, hanno appena dato il Nobel dell’Economia ad una donna, Goldin, per gli studi sul gender gap.

«Bellissimo: il problema delle paghe lo combatto da quando sono nel cinema. Faccio la matta per essere pagata come merito e non per quello che sono».

Il potere nel cinema è molto in chi gira. Il primo corto da regista “Feliz navidad” ha vinto molti premi. Ramazzotti, Cortellesi, Buy e Smutniak stanno incassando applausi per le loro opere prime.

«Sta arrivando il mio turno: stiamo lavorando a un lungo, dove io non reciterò (si intitolerà Adriatica, ndr): non posso dire molto ma c’è una donna al centro. Poi un giorno scriverò una storia per un protagonista uomo, ma ora è il tempo in cui noi ci prendiamo quei ruoli principali negatici per anni».

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