Ilenia Pastorelli, o il coraggio di rimettersi in gioco.
Sex appeal prorompente e umorismo esplosivo sulla scena, estrema riservatezza nella vita privata, l’attrice romana, 37 anni, appartiene alla generazione delle donne che vogliono andare avanti, migliorarsi, affrontare sempre nuove sfide. Senza proclami, autocelebrazioni o fronzoli, più con i fatti che a parole. Cresciuta tra Tor Bella Monaca e la Magliana, lanciata otto anni fa dalla commedia-cult di Gabriele Mainetti “Lo chiamavano Jeeg Robot”, in assoluto la sua prima interpretazione per cui vinse il David di Donatello (faceva la surreale borgatara romana), Ilenia non si è fermata più. Ha lavorato, tra gli altri, con Carlo Verdone in “Benedetta follia”, con Pif in “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, con Massimiliano Bruno in “Non ci resta che il crimine”, con il maestro del thriller Dario Argento in “Occhiali neri”. Quindi si è presa una pausa, dovuta in parte a una labirintite, ma prossimamente la ritroveremo al cinema protagonista di due nuove commedie: “Lo sposo indeciso” di Giorgio Amato e “Da grandi” di Fausto Brizzi. Mentre, sulla scia di tante attrici che sempre più spesso fanno il salto di qualità, sogna di debuttare nella regia.
Ha già un progetto concreto?
«Da qualche tempo sto scrivendo una sceneggiatura».
Perché vuole passare anche lei dietro la cinepresa?
«Perché noi donne possiamo raccontare in modo più sincero degli uomini, e senza troppi orpelli, il tempo in cui viviamo. La nostra società è ricca di spunti e tutti sono meritevoli di essere trasformati in una storia cinematografica. E noi abbiamo la sensibilità per farlo».
Quali sono i temi che vorrebbe portare sullo schermo?
«Le coppie gay, le adozioni difficili, le lotte per i diritti e contro le discriminazioni, tanto per fare qualche esempio. Mentre nel Dopoguerra il nostro cinema raccontava la ricostruzione, oggi siamo ancora fermi agli argomenti di 10 o 20 anni fa. Nelle attuali sceneggiature la realtà non entra, o entra pochissimo. Si continuano a fare tante commedie romantiche, ma del Covid e delle sue conseguenze nessuno parla…Ecco, io vorrei mettere in scena la contemporaneità».
Anche se le attrici continuano ad essere pagate meno dei maschi, nel cinema oggi c’è più spazio per le donne?
«Le cose sono migliorate. Grazie alle serie che hanno successo sulle piattaforme, una per tutte La Regina degli Scacchi, i produttori si sono resi conto che le storie al femminile funzionano, il pubblico le reclama. E il cinema comincia ad allinearsi. Certo, non siamo negli anni Cinquanta e Sessanta, quando si scrivevano i film su misura delle dive come Sofia Loren o Gina Lollobrigida. Oggi i protagonisti continuano ad essere gli uomini».
Come attrice, come può far progredire il suo lavoro?
«Voglio mettermi alla prova facendo cose diverse, sganciandomi dai soliti ruoli».
Intende dire che è stanca di venire identificata con la “solita” romana?
«So soltanto che vorrei esplorare nuovi mondi e nuovi personaggi, andare oltre i confini. In fondo il cinema ti obbliga a cambiare identità».
E lei che tipo di donna sente di essere oggi?
«Rispetto a una decina d’anni fa, quando la mia avventura di attrice è iniziata, non credo di essere cambiata. Non mi sono mai sentita arrivata. Continuo a lavorare per migliorarmi, per aiutare la mia famiglia e me stessa. Evito come la peste il presenzialismo e le occasioni mondane. Sono molto grata alla vita per tutto quello che ho avuto».
Il successo immediato ha comportato dei contraccolpi?
«All’inizio mi dava una certa insicurezza. Ogni volta che un regista mi chiamava, ero la prima ad essere sorpresa. Poi, piano piano, ho capito che i registi vedono in noi attori quello che desiderano vedere. E noi dobbiamo fare di tutto per essere all’altezza delle loro aspettative».
È mai stata molestata?
«No, con me non ci ha provato nessuno. Ho avuto la fortuna di lavorare con professionisti più che corretti che pensavano solo al lavoro. Non sono mai stata invitata non dico a cena fuori, ma nemmeno per un caffè. Anche durante i provini».
Cosa significa crescere in periferia?
«Trent’anni fa Tor Bella Monaca era un quartiere nuovo, non intensamente popolato come oggi. E io ci sono stata poco perché molto presto ho cominciato a passare le giornate all’Accademia di Danza, all’Aventino. Ma parlare di periferia come di un mondo difficile è un cliché. Io sono felice di essere cresciuta nella mia zona, ho avuto tante cose positive. Per dirne una: se fossi nata ai Parioli, non avrei girato Lo chiamavano Jeeg Robot».
Quando ha scoperto di avere delle doti comiche?
«L’ho sempre saputo, fin da piccola facevo ridere la famiglia con le mie imitazioni. Verdone poi mi ha confermato che sono nata per la commedia. Pensare che io non mi sento comica. Sotto sotto sono un’attrice drammatica».
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