Agli Oscar della rinascita, dopo il lungo buio della pandemia, sarà Laura Pausini, una voce che tutto il mondo ci invidia, a guidare la riscossa italiana: la grande cantante ha ricevuto la nomination per “Io sì – Seen”, il brano da lei composto con Diane Warren e Niccolò Agliardi per accompagnare il toccante film di Edoardo Ponti “La vita davanti a sé” interpretato da Sofia Loren. Laura lo eseguirà proprio nel corso della cerimonia, la notte del 25 aprile, in mondovisione da Los Angeles. «Devo tutto a Sofia: è lei che mi ha voluta, che ha fatto il mio nome», racconta emozionata la cantante che nella “notte delle stelle” sarà fasciata in uno scintillante Valentino. Abito con sorpresa: all’interno di una tasca segreta sarà custodita la bacchetta magica, un talismano che Laura porta sempre con sé. «Purtroppo non è potuta venire mia figlia. Viaggiare con bambini in America è praticamente impossibile a causa delle restrizioni. Da vera stella di casa, è stata lei a trovare le parole per farci partire più sereni. Spero di poterla ispirare: in caso di vittoria dedicherò la statuetta a lei e a mio padre», rivela Pausini che nei giorni scorsi è stata premiata al festival di Pascal Vicedomini “Los Angeles, Italia”. Ora la sua candidatura agli Academy Award, seguita al Golden Globe, aggiunge un nuovo capitolo alla lunga storia della presenza delle italiane agli Oscar: 93 anni scanditi da nomination e statuette, talento e applausi, lacrime di gioia e primati. Laura e le altre.
DIVE
In quasi un secolo di vita, mentre la parità di genere sembra un traguardo sempre più vicino, il riconoscimento più importante del cinema mondiale ha visto sfilare un piccolo esercito rosa di registe, attrici, sceneggiatrici, scenografe, arredatrici, costumiste, montatrici made in Italy. E proprio Sofia Loren, 86 anni gloriosi, è la loro rappresentante più prestigiosa: di statuette ne ha ricevute ben due. La prima nel 1962 per il capolavoro di Vittorio De Sica “La ciociara”. Tuttavia l’attrice, gigantesca sul set ma paralizzata dalla timidezza nella vita, rimase a Roma. Sfiorò il bis per il film “Matrimonio all’italiana” in cui, accanto a Marcello Mastroianni, aveva il ruolo di Filumena Marturano ma fu battuta sul filo di lana da Julie Andrews appesa all’ombrello di Mary Poppins. Sofia ebbe poi il secondo Oscar nel 1991 per l’insieme della carriera: questa volta la diva italiana più famosa del mondo andò a ritirarlo proprio a Los Angeles, dalle mani di Gregory Peck che lei stessa aveva premiato nel 1963. E tra le lacrime dedicò il trionfo al marito e ai figli Carlo jr ed Edoardo «che mi hanno insegnato a coniugare il verbo amare». Prima della Loren, soltanto un’altra attrice italiana aveva ricevuto la statuetta: la grande Anna Magnani, Oscar 1956 per “La rosa tatuata”. Dopo di lei, la divina Valentina Cortese fu in corsa nel 1975 come migliore non protagonista per “Effetto notte” ma dovette fermarsi alla nomination. Poi le nostre attrici sono sparite dagli Oscar. In compenso, una ragazza terribile del nostro cinema avrebbe battuto un primato: Lina Wertmüller, 92 anni. Nel 1977, con il suo “Pasqualino Settebellezze”, fu la prima regista donna a ottenere la nomination in quella competizione che, alla faccia delle quote rosa, in quasi un secolo di vita ha assegnato la statuetta per la regia a una sola signora, Kathryn Bigelow per “The Hurt Locker” nel 2010. Lina, battuta da John G. Avildsen regista di “Rocky”, era arrivata in finale anche per la sceneggiatura e il miglior film straniero, un record. Ma rimase a bocca asciutta. Si sarebbe rifatta nel 2019 ricevendo l’Oscar alla carriera dalle mani di Jane Campion e Greta Gerwig. Fu proprio allora che virò il suo proverbiale umorismo in chiave militante: «È un premio maschilista, perché non lo chiamiamo Anna?», esclamò Lina dopo aver ricevuto la statuetta, suscitando un’immaginaria standing ovation in tutto il mondo. E a chi le domandava se avesse incontrato difficoltà in quanto donna, rispose: «Dominare una troupe non è una questione di fisico ma di carattere. Ho sempre saputo il fatto mio e, quando serviva, ero pronta ad alzare le mani». Dopo Wertmüller, sarebbe arrivata in finale agli Academy soltanto un’altra regista italiana: Cristina Comencini, candidata nel 2006 per “La bestia nel cuore” ma battuta dal sudafricano “Il suo nome è Tsotsi”.
LA FANTASIA
Ma se attrici e registe hanno dovuto faticare, agli Academy il genio artigianale italiano ha fatto spesso goal. Specie quando è stato espresso dalle nostre costumiste. Milena Canonero ha collezionato 9 nomination e 4 Oscar, l’ultimo dei quali nel 2015 per i coloratissimi abiti di “Grand Budapest Hotel”. Gabriella Pescucci, tre volte candidata, ha vinto nel 1994 per le raffinate creazioni anni Venti realizzate per “L’età dell’innocenza”. Nel 1991 l’Academy è andato a Franca Squarciapino per aver abbigliato Gérard Depardieu in “Cyrano de Bergérac”. E se Gabriella Cristiani vinse nel 1988 per il montaggio di “L’ultimo imperatore”, scenografia e arredi hanno permesso alla creatività femminile italiana di affermarsi più di una volta. Superstar della categoria è Francesca Lo Schiavo, 8 nomination e 3 Oscar vinti in coppia con il marito Dante Ferretti per “The Aviator”, “Sweeney Todd” e “Hugo Cabret”. Luciana Arrighi, 3 volte nominata, ha conquistato la statuetta per le scene di “Casa Howard”. Quest’anno è in finale anche Dalia Colli, candidata con Mark Coulier e Francesco Pegoretti per il prodigioso make-up di “Pinocchio”. Insieme con Laura Pausini spera di onorare l’Italia sul palcoscenico più ambito del mondo, dove sarà in lizza anche il costumista di “Pinocchio” Massimo Cantini Parrini. Perché Italians do it better, le italiane lo fanno meglio. E lo sanno bene anche a Hollywood.