«Quando ho cominciato a disegnare fumetti, negli anni Sessanta, ero l’unica donna in quell’ambiente. Era una specie di Boy’s Club», ricorda Trina Robbins, classe 1938, che, nel 1986 è stata la prima fumettista della storia a disegnare Wonder Woman per DC Comic. «Quando ho iniziato, il mio nome era A. Marthinez. Nessuno sapeva se fossi uomo o donna: per me era importante, volevo essere conosciuta per il mio lavoro», racconta Alitha Martinez, che ha debuttato negli anni Novanta. «Il pubblico non è abituato a vedere immagini create da donne e, in particolare, da donne nere. E non solo nei fumetti», dice Ebony Flowers, autrice di Hot Comb, per Guardian, Washington Post e Believer uno dei migliori libri del 2019.
RARITÀ
Storie diverse, anche distanti per decennio d’esordio, accomunate dalla difficoltà di essere donne in un settore maschile che viene in mente la celebre battuta di Jessica Rabbitt: «Non sono cattiva è che mi disegnano così». E loro disegnano se stesse e il mondo in un modo tutto da scoprire nell’esposizione “Women in Comics”, curata da Trina Robbins e Kim Munson – per l’edizione italiana, da Stefano “S3Keno” Piccoli, direttore di ARF! – che, da New York, porta a Roma, a Palazzo Merulana, da giovedì 27 maggio all’11 luglio. In mostra le tavole di venticinque artiste che «hanno fatto la storia del fumetto nordamericano», per la prima volta in mostra in Europa. Si va da Robbins a Martinez, da Colleen Doran a Emil Ferris, da Flowers a Trinidad Escobar. Promosso dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia e co-prodotto da ARF! Festival e Comicon, il progetto espositivo, attraverso novanta opere originali, è concepito come una sorta di “storia di autodeterminazione dei comics nordamericani”. E offre lo spunto per riflettere, più in generale, sulla situazione delle donne nel fumetto. Anche in Italia. «Da bambina, nessuno mi ha mai detto che fare fumetti fosse un mestiere da uomo, così quando ho cominciato a lavorare in tale ambito non mi sono posta il problema, l’ho scoperto dopo. La gente mi chiedeva perché avessi scelto un impiego maschile, all’inizio ridevo, pensando fosse una battuta», dice Silvia Ziche, classe 1967, nome iconico del fumetto italiano, che da anni racconta storie al femminile con la sua creazione, Lucrezia, ma anche con i personaggi Disney su Topolino, e che ha preso parte ai dibattiti online che hanno anticipato la mostra, in un ciclo di incontri che proseguirà in presenza.
DIFFICOLTÀ
«Noi ragazze, trent’anni fa, per educazione, sapevamo che avremmo incontrato più difficoltà dei coetanei uomini. Siamo cresciute con gli aculei. Perfino, leggere fumetti era considerato maschile – prosegue – Noi donne ci siamo avvicinate, come autrici, al fumetto, quando ne siamo diventate lettrici. Io sono stata fortunata, mia madre portava a casa Topolino. Il grande interesse femminile per il fumetto è nato a metà anni Ottanta con la diffusione dei manga». L’ingresso delle donne nel settore lo ha arricchito di nuovi orizzonti, punti di vista, tematiche. «Ha portato a storie più intime e complesse, guardando pure alle avventure interiori». In questo filone rientra Lucrezia. «Non è che volessi creare un personaggio femminile – spiega – Lucrezia è nata dall’esigenza di raccontare. A vent’anni, con “Alice a Quel Paese”, ho dato voce allo spaesamento di quell’età. Intorno ai trenta, sentivo il bisogno di narrare cose diverse, quel personaggio non andava più bene, gli orizzonti si erano ristretti, erano arrivate le prime batoste. Avevo compreso la difficoltà delle relazioni interpersonali, non solo tra uomo e donna».
STUDIARE
Oggi, il mondo del fumetto, all’apparenza, è più aperto, ma è davvero così? «Quando mi offrono qualcosa, mi domando se me lo chiedono come quota rosa, ciò è sintomo che il problema non è risolto. Siamo in una fase di transizione. Le regole ci sono e aiutano, ma serve un sincero interesse, credo che la parità ci sarà quando una donna mediocre avrà le stesse opportunità di un uomo mediocre. Non mi interessa un mondo diviso in due. Voglio leggere anche le storie raccontate dagli uomini, agli uomini invece pare ancora strano leggere storie che parlano di donne». La strada è lunga. Le donne ci sono, alcune conquistano i riflettori, ma spesso poi sono dimenticate. «Ci sono sempre state bravissime artiste, scrittrici e così via, ma la storia si è richiusa su di loro come sabbie mobili – afferma Ziche – Ora si sta cercando di recuperare». E per il settore? «Per l’accesso a questo mondo, adesso, l’unico problema è il talento, ma lo ripeto, è una fase di transizione, in cui convivono generazioni diverse, alcune purtroppo non ancora pronte ai mutamenti in corso. L’importante è continuare a lavorare al meglio». E studiare, magari anche in mostra, il passato – in parte, presente – delle donne nel fumetto, tra battaglie combattute e sfide da affrontare.
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