Ogni volta che una donna va a ricoprire un incarico fino a quel momento sempre e comunque destinato ad uomini, scatta la ola commossa. La “prima donna” viene celebrata come esemplare di una specie rara, antropologicamente diversa. E invece no. Le donne con competenze tali da sbaragliare la concorrenza sono tante e in tanti settori. Come ha detto il ministro per l’innovazione tecnologica Vittorio Colao, ufficializzando la nuova squadra di otto consiglieri (di cui quattro donne): «Basta cercarle». Sogno, anzi no: aspetto a pie’ fermo il momento in cui le “prime volte” saranno così tante che non si noterà più. Ma non chiedetemi come e quando si arriverà a questo fatale momento. Ci sono giorni in cui mi sembra molto lontano e altri in cui sono più ottimista.
PROSPETTIVE
I giorni in cui viro sul pessimismo sono quelli in cui si viene a sapere che in un certo ministero, in una certa azienda, in un qualsiasi posto di lavoro, una donna ha brigato per mettere in cattiva luce una più brava di lei. Succede da sempre tra uomini, si dirà. Vero. Ma alla fine, loro, un accordo sulla spartizione lo trovano sempre. Le donne, se guerreggiano per insicurezza, alla fine si ritrovano così avvelenate contro la presunta avversaria da non accorgersi nemmeno di aver guadagnato poco o niente dalla battaglia. Al massimo conquistano la reputazione di essere una “nemica delle donne”. E, come diceva l’ex segretario di Stato Madeleine Albright «c’è un posto speciale all’inferno per le donne che non aiutano altre donne». Poi ci sono giorni in cui invece mi scopro parecchio ottimista. Quando vedo arrivare al posto giusto la persona giusta (la persona, uomo o donna che sia). E se è donna l’ottimismo si rafforza. È successo poco tempo fa, per fare solo un esempio, con la nomina della bioingegnera Maria Chiara Carrozza alla guida del Cnr. Altro momento in cui la fiducia prevale sul pessimismo è quando parlo con certe trentenni che hanno fatto più cose in dieci anni di quante ne abbiamo messe insieme noi in trenta. La generazione Chiara Ferragni, per intenderci. Alcune tra loro si raccontano nel mio podcast “Donne del futuro”, e sono vite per cui l’aggettivo più appropriato è “affascinanti”. C’è quella che pur avendo una laurea in lingue oggi è ceo di un’azienda che utilizza l’energia per intercettare inefficienze nei sistemi aziendali: ha imparato studiando un anno in Corea. C’è l’altra che ha iniziato come fotografa e poi ha capito che la sua strada era il business. Con l’aiuto del fidanzato McKinsey ha messo su una start up di sex toys destinati alla consumatrice. Il mercato c’è, gli affari vanno bene. C’è la trentenne nata in Lombardia da genitori cinesi che oggi dirige un’azienda nel settore food orientale, c’è la bolognese che dalla crisi della piccola ditta di famiglia ha tratto forza e non depressione: dopo uno studio “matto e disperatissimo” per dirla con Alfieri, tra la Bocconi e la London School of economics, oggi lavora al marketing del Financial Times.
NUOVE FORZE
Perciò quando sento le frequenti e spesso fondate lamentazioni sull’inefficienza e l’arretratezza della nostra pubblica amministrazione mi chiedo cosa aspettiamo a far entrare in gioco queste ragazze, tipini che hanno deciso di voler imparare l’inglese quando erano all’asilo (se non ci credete ascoltare il podcast con la “Donna del futuro” Eleonora Carta) o che, non avendo famiglie particolarmente abbienti e non potendo andare all’estero nei summer camp, l’inglese l’hanno imparato con le canzoni di Robbie Williams. Però oggi lo parlano benino, e lavorano a Londra. Il mondo dei ministeri è un mondo che avrebbe un gran bisogno di aprirsi alle donne. Ad oggi, ma potrei sbagliare, le capo di gabinetto sono solo due, Daria Perrotta a palazzo Chigi e Marcella Panucci alla Pubblica Amministrazione, settore dove è stato provvidenzialmente previsto l’arrivo di nuove e fresche forze. Ecco, mi piacerebbe che il prossimo racconto del misterioso autore de’ “Io sono il potere” (Feltrinelli editore), delizioso manuale su vita, trappole e consigli della tribù dei capi di gabinetto dei ministeri italiani lo scrivesse una donna. Purché provvista del sense of humour di chi ha scritto “Io sono il potere”.