L'intervista è on the road (again) perché Levante è in tour: teatri, stavolta, perché sono passati dieci anni da Manuale Distruzione.
«Mi piacerebbe ancora girare con quei van da 9 posti, stretti con la band. La maternità cambia qualcosa: soprattutto i tempi, anche alle rocker». Cambia moltissimo, di più, lo scopriremo. E in Claudia Lagona (il suo nome d'anagrafe) e in Levante l'artista poliedrica che sceglie modalità analogiche per esprimere se stessa, pur essendo stata la prima cantante in Italia ad avere una spunta blu su Instagram.
«Vedi – mi dice – quella piattaforma mi ha consentito, spesso, di mostrare al mondo passioni e inclinazioni che sono prima di Claudia e poi anche di Levante: fin da piccola adoravo fotografare, portare le foto a sviluppare; e scrivere. Così i miei post erano spesso pagine di quei libri che poi ho cominciato a scrivere sul serio».
Sta scrivendo anche ora che è in tour (ad aprile le date di Bari, Roma, il 16, Pescara e avanti fino a metà maggio).
«Sto consegnando il quarto libro. Stavolta, però, non è un romanzo: saranno poesie o meglio pensieri che possiamo catalogare così».
Eccola, un'altra Levante: quante cose è Levante-Claudia: il percorso di vita e artistico è così multiforme. E il film-intervista Levante Ventitré – Anni di voli pindarici su Paramount + certifica un'anima che fa balzi e capriole.
«Mi sento libera di cambiare: sono tante cose, tutte insieme. E credo che la gente talvolta sia disorientata».
Nel film imperdibile la reazione (amorevolissima, accogliente) del suo compagno Pietro quando svoltò sul biondo assoluto per Sanremo 2023.
«D'impulso: ma che amore ad accogliere questa mia modalità. Ecco, io credo che debba essere permessa a tutti questa libertà, l'uscita da ruoli prefissati. Io sono Levante la cantautrice e la scrittrice, come c'è scritto su Wikipedia, ma anche la mamma e l'orfana di padre, la donna di famiglia e la gitana della musica, la fotografa che ama il cinema (sua la canzone e una partecipazione alle Romantiche di Pilar Fogliati , ndr). Eppoi la sicula cresciuta a Torino. Essere tante cose è un po' spiazzante: ma io sono un'anima analogica, un'artista che viene dalla givetta. Io sono mille me».
Cos'è la normalità per Levante?
«Mostrarsi: per quello che si è, per come si è in quel momento. Pietro mi disse vedendomi bionda: sei pazza e rideva. No, io ero libera così. Ma io vedo sempre più persone intorno a me meno sintetiche e analogiche. E d'altronde, io non credo alla creatività a bassa temperatura: la creazione artistica richiede l'incendio».
Nel film-intervista la temperatura cambia: all'inizio quasi un manifesto, parlando della storica serata dell'Arena, dopo un Sanremo vissuto con qualche travaglio. Poi il racconto della maternità, della depressione post-partum, fino ad una quiete figlia della consapevolezza.
«Di quel 2023 stavo capendo poco delle emozioni che mi attraversavano. La canzone presentata al festival, Vivo, era il grido di una donna che voleva riappropriarsi dopo la rivoluzione della maternità di tutta se stessa. Nessuno ti insegna che cosa significhi la vita da quando il pancione scompare e appare un essere umano che dipende da te. Mia madre di certi suoi cedimenti, di quelli di tutte le madri al cospetto di un miracolo così grande, mi ha parlato a cose fatte. Le dissi: ma non potevi avvertirmi? Quando parli di questa sofferenza, spesso incassi commenti negativi. Ti dicono: ma non ci pensi al dolore di chi i figli vuole averli, ma non può? Non esiste competizione col dolore, non si fa la gara a chi è più depressa. E il dolore degli altri non si giudica. Se sto male, lo dico. Ecco, piuttosto, dovremmo essere educate tutte ad essere pronte».
Claudia e Alma Futura: come siete messe, mamma e figlia?
«Grande amore, tantissime parole, tanta musica: suoniamo e cantiamo le mie canzoni. Facciamo spettacolini. Mentre partivo per Livorno mi ha detto “mi mancherai”: è sempre una piccola ferita. Ma la rassicuro: amore, sono con l’autista e torno subito. Il mio compagno colma questi spazi: non penso che avrei potuto immaginarmi madre senza una persona come lui accanto. Ho voluto che fosse tutto chiaro, per me e per chi mi sta attorno: a mia figlia parlerò dei momenti difficili dopo il parto. E quando aveva quattro mesi ho accettato di volare a Los Angeles per il calendario della Lavazza: dobbiamo abituarci tutti a questa nuova normalità».
La foto è molto bella, quella del calendario dico. In generale c’è una Levante da palco (anche quando canta tra amici: a me è capitato di vederla) che esplode e se ne frega di tutto e tutti. Poi c’è una Levante attentissima al senso estetico delle cose.
«Mi fotografavo sempre, da ragazzina. Mi sento un po’ vanitosa, quella vanità mi serve per comunicare. So di non essere una bambolina, ho una faccia importante, un naso pronunciato. Questo senso estetico, anche in cantautori come me, non era di moda: i trapper hanno sdoganato questo elemento. I social e la facilità con cui oggi si può comunicare con una foto hanno fatto il resto. Però rivendico quella mia spunta blu di Instagram 10 anni fa: la prima. Quella piattaforma è il mio diario visivo: non a caso ho scritto un libro che s’intitolava Se non ti vedo, non esisti».
Quella faccia importante mi fa pensare alla Callas, Irene Papas. E anche a Mina: un’altra anima capace di deviare il percorso drasticamente.
«Madonna mia: che paragone. Io penso al dolore con cui lei ha deciso di togliere qualcosa alle persone che l'amavano, di deludere l'opinione pubblica. Lei era diventata un'icona della tv da milioni di spettatori con Milleluci, dove interagiva con un'altra eroina e simbolo di donna libera come la Carrà . Al di là della qualità di cantante, c'è una figura femminile di riferimento».
L'esigenza di comunicare: tutto e in tutti i modi.
«Mi sarebbe piaciuto fare la giornalista: forse è stata la prima passione. Scrivo per un periodico e mi piace molto. Sono un'autrice che canta: a me le parole vengono meglio, anche quelle delle mie emozioni intime, quando le scrivo».
Citava la tv parlando di Mina: la tv per la musica oggi è madre o matrigna?
«La tv oggi non vede di buon occhio la musica: certo, c'è Sanremo , ma lì da concorrente dico che la musica non è così ascoltata. In pochi attimi ti giochi il lavoro di un anno, a volte non riesci a portare la canzone che volevi come è capitato a me con Vivo, io volevo cantare Mi Manchi».
Il cinema è una grande passione: un film per provare a intrappolare un'immagine fissa di Levante.
«Caruso Pascoski di padre polacco, di Nuti: un amore drammatico e comico, cervellotico e ridicolo. Ci ho anche scritto una canzone dieci anni fa. Io mi ci rivedo in artisti come lui e Troisi: che intercettano la tragedia e rivelano una cosa indicibile».
Cosa è indicibile?
«Io sono rimasta orfana a nove anni, è stato un grande dolore e vuoto che mi porto ancora. Quando morì mio padre, nei giorni del suo funerale tra noi fratelli scoppiammo a ridere per un fatto incredibile: mia sorella Maria aveva il compito di avvertire i parenti del lutto improvviso. In una delle telefonate annunciava la morte di Rosario, così si chiamava papà, ad una famiglia di parenti. Ma aveva sbagliato numero, anche loro avevano uno zio di nome Rosario. La telefonata fece piombare nello sconforto quei poveracci fino a quando si scoprì il malinteso: Verdone ci fece uno sketch raccontando un caso simile. Non c'è matrimonio in cui non si pianga e funerale in cui non si rida. Tra le mille me, mettiamoci anche questa».