Luca Zingaretti: «Serve un'alleanza per dare un futuro ai nostri giovani che vivono un'inquietudine mai vista»

Sono giorni in cui – da genitore – vivo un'inquetudine: leggo i mattinali e i reportage sui nostri giornali di famiglie travolte dalle schegge omicide di ragazzi che uccidono ragazze; vedo genitori distrutti con le braccia allargate dalla disperazione per non aver saputo proteggere, per non aver saputo fermare, per aver aiutato in modo scomposto i propri figli a non farla finita.

Ma in questi giorni ho visto "La casa degli sguardi"che Luca Zingaretti ha voluto trasformare – dal libro di Daniele Mencarelli – nella sua prima regia cinematografica. Abbiamo pubblicato un editoriale sul Messaggero di Luca Ricolfi che parlava di queste inquietudini della nostra società e della rottura dell'alleanza – che fu storica base della nostra società – tra famiglie e scuola. Ma penso e ripenso alla figura del padre della "Casa degli Sguardi", il personaggio (mai nominato nel film, peraltro) interpretato da Zingaretti, alle prese con Marcolino, un figlio ventenne che – morta la figura icona della famiglia, la mamma – cerca di autoflagellare il proprio talento di poeta tra dipendenze (soprattutto l'alcol) e passi indietro. Ora, Zingaretti, ce l'ho qui davanti a me e posso chiedergli se lui come me si identifica e come in tutti questi genitori al bivio tra salvezza e ergastoli di disperazione.

Nel film c'è una battuta di questo padre tranviere al figlio: “Marcolì, si tratta solo di ricomincià”.

«Quello che interpreto – dice Luca, padre di due figlie quasi adolescenti – è un genitore che salva. Un uomo salvifico perché sa stare nelle cose, capisce e dice in continuazione a questo figlio disperato: io mi prenderò cura di te, io ci sarò, anche se ora non so come trattare il tuo disagio. Tutti vorremmo qualcuno vicino che ci dicesse una cosa del genere: uno che abbia uno sguardo su di noi. Marcolino fatica a capire che quello è il regalo più grande che un essere umano possa ricevere».

Il suo è un padre-madre: a quelli della nostra generazione, Luca, capitavano più spesso padri normativi e madri accoglienti senza se e senza ma.

«Ci ho lavorato tanto su quel ruolo nello scrivere il film: nel libro la mamma c'è, una figura amatissima, che porta il figlio verso la poesia. Nel film – dove si capisce che è morta – l'abbiamo resa presente come figura immanente, una luce di bellezza riflessa nel padre che tanto l'ha amata. Se ami tanto qualcuno, finisci per rifletterne pregi e difetti. Il maschio ha spesso risposte primarie. Alle donne Dio, o chi per lui, ha dato il compito di far proseguire la specie, di creare l'altro da sé. Questo crea, biologicamente, un istinto di accoglienza. Il mio padre doveva essere quello per Marcolino».

 

Da genitore, e di fronte alle storie che racconta la cronaca e alle reazioni che suscita il suo film quando lo presenta in sala, come vive questo rapporto tra le generazioni?

«Quando eravamo ragazzi noi, i genitori non ci vedevano, ma avevamo la fortuna di radici profonde e quasi immutabili. Oggi i ragazzi crescono in un contesto in cui il mondo gli cambia intorno ogni 24 ore. Il terreno in cui provano a radicarsi è friabile. L'inquietudine si sente nell'aria: io sento il cattivo odore o comunque un odore particolare che emana, l'inquietudine. I giovani non vengono da un passato e non sanno cosa li aspetterà. Sono su uno skateboard e credo abbiano difficoltà venti volte superiori alle nostre. Porterò questo film ovunque ce lo chiedano, anche nelle scuole: in queste settimane non ha idea di quanti genitori a fine proiezione siano venuti, anche piangendo, ad abbracciarmi e a raccontarmi di aver rivissuto i momenti difficili passati coi loro figli».

La coppia dei genitori, la scuola, il lavoro sarebbero istituzioni che possono aiutare e aiutarsi: nel film a questo padre solo è molto utile il lavoro come ancora di salvezza.

«Quelle alleanze, quando ci sono, ti salvano. Il lavoro – ad esempio – ti dà quelle radici perdute: nel film dopo aver debuttato come pulitore all’ospedale Bambino Gesù, dove è ambientato, dentro un bagno lercio, Marco si fuma soddisfatto una sigaretta per una cosa fatta bene che porta la sua firma. Il lavoro ti fa capire chi sei, il posto che occupi nella società, può darti un senso e farti ripartire quando hai un disagio profondo».

Certo l'alleanza più forte – quando c'è – è quella tra i genitori: lei e sua moglie, Luisa Ranieri, che alleanza avete costituito?

 

 

«Proprio qualche sera fa ci dicevamo di essere molto fortunati a condividere la linea secondo cui stavamo educando le nostre figlie. Per essere presenti abbiamo fatto sistema: in genere quando lavora lei, io mi fermo e viceversa. Ma pur essendo presenti la concorrenza la troviamo nei social, nei device che usano: l'altro giorno mia figlia mi raccontava un fatto falso che un'amichetta aveva letto sul cellulare, che mia figlia ancora non ha a 10 anni. Viviamo in un mondo adulterato, allora abbiamo deciso che fosse meglio essere genitori odiati per qualche no dalle nostre figlie, ma tenere il punto».

Genitori assediati e dribblati. È quel che si scopre in “Adolescence”, che vediamo nei fatti di cronaca.

«L'educazione che arriva ai ragazzi dal telefonino è one-to-one: qualsiasi cosa dica loro, glielo dice direttamente e non c'è genitore o professore a fare da filtro. Io spezzo una lancia per questi genitori che vengono spesso accusati di non “vedere” che cosa accade ai loro figli. Non è facile vederli, questi figli. Gli apprendimenti che arrivano loro, noi non li intercettiamo. Quando scrollano sul loro device noi non ci siamo, non possiamo esserci. I filtri che avevamo noi, loro non li hanno ed elaborano. La relazione tra generazioni è la più difficile di sempre perché a noi genitori mancano pezzi di apprendimento».

Nella "Casa degli sguardi”, il giovane protagonista scopre un dolore che ti scartavetra l'anima: al Bambino Gesù ci sono i bimbi malati.

«Quel luogo è un'eccellenza di Roma, ma anche un luogo magico. Io dico che non sei romano se non sei stato da paziente o in visita nell'ospedale pediatrico: ho chiesto di poter girare delle scene lì perché volevo che quegli sguardi sentiti addosso da Marcolino li sentissimo tutti. Lì si è tutti vicini: chi ha paura, chi consola, ma soprattutto c'è la sensazione di essere accudito e di essere nel posto giusto. A qualche piccolo degente abbiamo regalato giornate di svago e loro hanno sparso una polverina magica di umanità sul film».

C'è una foto molto bella, un selfie, che ha scattato alla manifestazione del 25 novembre 2023 con Paola Cortellesi, Riccardo Milani, Luisa Rinaldi e altri in piazza per Una Nessuna Centomila.

«Io collaboro, anzi mi sento parte di Fondazione Una, Nessuna, Centomila perché sa comunicare in modo forte quanto sia urgente rompere il muro dell'insensibiltà, di reagire ai messaggi che stanno tornando forti su una mascolinità sbagliata. Io sono cresciuto in un gineceo, con una madre femminista che mi portava anche troppo giovane ai collettivi di autocoscienza e autoesplorazione fisica. Vedevo tutte quelle che mi sembravano tette enormi. Ora il maschio vive un momento delicato, si sente insidiato e reagisce smodatamente a una donna che ha imparato a farsi sentire. Come cittadini ed esseri umani abbiamo il dovere di cambiare».

La scuola che può essere un luogo di alleanza.

«Eccome, se riesce a tenere puliti i giovani dai condizionamenti. Le faccio un esempio: mia figlia andava alla scuola internazionale e cercava di indicarmi un suo compagno di classe. Io dopo aver sbagliato i nomi le dissi: ma quello di colore, quello nero? Lei mi rispose: lui è color cioccolato. Se a scuola insegnassimo a togliere a tutti dalla testa che i colori e i generi condizionino la loro autonomia e la capacità di fare le cose saremmo molto avanti».

Luca, come il papà della “Casa degli sguardi”, per Emma e Bianca, le sue figlie, ci sarà sempre.

«Io sono un tipo ansioso, ma ho capito che non posso proteggerle da tutto. Con Luisa abbiamo messo al mondo due individui: per proteggerle davvero, dobbiamo fare capire loro quanto sono importanti. Non solo per noi, genitori ansiosi, quando uniche e importanti sono loro come donne. Che devono godersi la vita e rispettarla, però. Non ci si deve buttare via, perché valiamo tanto».

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