Mara Venier: «Antonio Banderas mi ha aperto gli occhi. Ho fatto pace con me stessa, ora decido io»

A un certo punto ha deciso che aveva ragione Antonio Banderas.

E che doveva essere Mara, e che poteva esserlo diventando un supereroe: #ziamara. A quel punto della scalata della vita, la Venier – Nostra Signora di Domenica In, la confortatrice e divulgatrice semplice (grazie per le nostre mamme e… noi) del popolo in pandemia – ha capito che non era più tempo «di essere la geisha di nessuno, che dovevo essere amata per quello che sono: la caciara, la follia, i momenti di down, sole e luna. E io non sono più sole. Bella, se sono bella, per quello che sono così: senza modelli». Il pezzo originale che da Mestre s’è forgiato a Roma (anche negoziante nella bohéme di Campo de’ Fiori) attraverso le narrazioni che ci farà, ha finalmente un mantra. Il mantra ha pacificato lei con se stessa e tutte le vite che ha avuto e che ha perso. Ha la solidità di Nicola Carraro: da 22 anni non le chiede altro che essere «quella donna struccata, in grembiule, senza maggiordomi», facile al pianto e alla risata che diventa meme.

 

 

Tutto (o forse il meglio, il mantra buono) parte da una delle sue interviste, Venier: a Londra con Banderas. L’allora compagna Melanie Griffith vi interrompe per baciare Antonio, ad ogni ciak.

«Era il momento scuro del mio rapporto con Renzo Arbore e li vedevo sul set così pieni d’amore e belli: lei lo baciava di continuo. Domando ad Antonio: è questa la felicità? Lui mi risponde così: la felicità è un colpo di vento che ti carezza i capelli, quell’attimo lì. Oggi per me, dopo un lungo viaggio di 70 anni sulle montagne russe, quel soffio di vento è una notte nel lettone ad accudire Iaio, il mio nipotino, in un albergo di New York. Lui che ha 38 di febbre, io che ci bado lasciando mio figlio e la compagna a zonzo per Times Square. E sapere che c’è Nicola con cui sentirmi libera di essere Mara o #ziamara».

A proposito, ma come devo chiamarla? Venier, Mara, #ziamara.

«Ma chiamatemi come volete, Mara va bene: a volte ci sono anziani che mi fermano e chiamano zia, ma magari hanno 90 anni… Questa sono: lo vedi nelle interviste. C’è un momento in cui vedo un lampo negli occhi di Zucchero o Jovanotti, una grande star hollywoodiana o Achille Lauro in cui capisco che lo sto amando. E loro lo sentono, questo, e ci emozioniamo: piango con loro perché finisco per amarli. Quasi tutti, quelli che sanno rinunciare a voler fare la promozione del loro disco o film a tutti i costi. Eros Ramazzotti ha voluto lui essere mio ospite dopo tanto tempo: ha accettato di ripercorrere tutta la sua vita, dai bordi di periferia a oggi aprendosi a emozioni profonde. Per questo facciamo quegli ascolti, ogni anno più alti».

Che Natale è, Mara (sono passato al nome, poi vediamo con #ziamara, più avanti). C’è la guerra da un anno. Possiamo mandare, credibilmente, un messaggio di pace?

«Ogni tanto mi tocca ritirare fuori il Tavolo, scriviamolo con la maiuscola. Quando a Domenica In esce il Tavolo c’è una questione seria da spiegare agli italiani e italiane: la svolta, della mia vita e del mio status di donna di spettacolo, è stato il Covid. Al tavolo virologi e ministri, senza i vaccini a cui aggrapparsi, con incertezze che avevamo tutti: c’erano il lockdown e la desolazione. E avevo paura: io ho 72 anni, mio marito 80 e problemi respiratori. Un contagio per noi sarebbe stato problematico: andavo in onda in uno studio con un paio di cameraman e un autore, pretendevo disinfezioni continue, andavo in onda struccata, non c’erano parrucchieri. E temevo di infettare mio marito al ritorno a casa. Una domenica non ce l’ho fatta e ho avuto paura: mi sono sentita vigliacca. Poi ho ripensato a tutto l’amore che mi ha riversato il pubblico e che dovevo restituire. Coletta e Salini, i vertici Rai, mi dissero: solo tu puoi arrivare alla pancia della gente nel modo giusto, non sei #ziamara ora, sei la Rai. Mi sono sentita importante, dovevo andare oltre la Mara caciarona amica del salotto. Ho dato senso a 30 anni di lavoro. Ma a ogni pausa piangevo. Poi è venuta la guerra, ed è tornato ‘sto cazzo di Tavolo. E con me la Maggioni e Matano a parlare di Ucraina. La pace l’ho fatta anche con il mio lavoro: so di essere anche quella Venier, adesso».

E pace anche con la Rai: chiamata 4 volte a Domenica In, l’ultimo addio tumultuoso, nel 2017 prima del rientro trionfale.

«Mi avevano cacciato dicendo che ero vecchia… 5 anni fa. Mi ha salvata Maria De Filippi: era il momento in cui l’Alzheimer si stava prendendo mia mamma, su a Mestre (ha scritto un bellissimo libro, “Mamma, ti ricordi di me?”, su questo lungo addio, ndr). Mi volle per una puntata a Tu si que valès: sono diventati quattro anni di follia e divertimento, mi lasciava sfogare la rabbia che accumulavo sul treno su e giù per Mestre nella settimana per accudire mamma. Più che un’amica, una terapeuta, la De Filippi: intuito per lo show e per gli esseri umani. Nel frattempo, passavano gli anni, ma ero sempre meno… vecchia per la tv. E mi hanno riconsegnato alla mia dimensione: Domenica In».

Quale edizione non sua ricorda?

«Allora, partiamo da qui: superare, con 14 edizioni, Baudo è una cosa incredibile. Sono rinata tante volte, ma in nessuna vita sognavo una cosa così. Quando nacque, con Corrado, io guardavo Arbore, L’Altra Domenica: Renzo faceva parlare le donne, le rendeva protagoniste, aveva il jazz nel ritmo della conduzione. Oggi questo programma ce l’ho nel sangue: mi costringe a stare lontana molto da Nicola, non siamo ragazzini, forse di tempo non ne abbiamo tanto da passare insieme. Ogni anno è un sacrificio andare da mio marito che ama vivere a Santo Domingo dove respira bene, al mare, e dire. Nicola, la rifaccio… Non mi vedo in nessun altro programma. Magari una cosetta facile per una piattaforma».

Il 25 novembre ha accettato di essere la voce e il volto della campagna nazionale contro la violenza sulle donne. So che non è stato facile: ci spieghi perché.

«Un altro cerchio della mia vita che si chiudeva: quando ero poco più che ventenne sono stata oggetto della violenza, minacciata di morte con un coltello, stalkerizzata per anni. La Mara di oggi gli avrebbe fatto un culo così: quella del tempo era nelle mani di quest’uomo, che ora è morto, aveva paura a denunciare. Quando ho girato lo spot che parla di controllo psicologico, economico avevo la voce che si spezzava: era la mia storia. Ripensavo a quando la psicologa mi disse che rischiavo il suicidio, tra botte e umiliazioni. Mi sono ribellata a lei e lui. Ora mi sono dipinta il 1522 sulla mano e non mi pare vero, dopo 50 anni, di essere stata proprio io (qui Mara piange un po’, ndr). Mi sarebbe piaciuto lo vedesse, quello spot, proprio lui».

Nel 2006 il matrimonio con Nicola Carraro, una storia splendida.

«L’unico che non voleva cambiarmi. L’unico che non è geloso del mio passato, anche degli uomini del mio passato. È lui a dirmi: hai chiamato Jerry (Calà, ndr)? Ci vediamo con Renzo (Arbore, ndr)?».

I rapporti con il suo passato, Mara?

«Quando mi parlano di me come icona femminile, io penso magari a Raffaella (Carrà, ndr), Mina, la Magnani. Io ho sempre seguito il cuore. Errori compresi. Ho avuto Elisabetta a 17 anni perché adoravo il mio primo marito, un modello veneto che scappò a Roma la sera delle nozze. Don Gino andò dai miei a implorarmi di far nascere la bimba, ma di non farmi sposare, allora serviva il consenso. Poi a Roma ci sono andata io e l’attrice l’ho fatta io. Ci sono state mancanze da parte mia: ero una mamma troppo giovane, che lavorava. Penso di aver recuperato negli anni: sono fierissima del mio essere nonna di Giulio, che ha 20 anni, e di Iaio, Claudio di 5. Con il passato, con certi aspetti del mio carattere ho fatto pace».

Ha citato Jerry Calà e Arbore.

«Ci frequentiamo, il senso di famiglia allargata si rivive perché l’amore si evolve e cambia. L’amore vero, completo, definitivo è Nicola. Dopo aver vissuto con Paolo Capponi, attore serio e uomo di grande cultura e impegno, volevo ritrovare la Mara caciarona e ho incontrato un fiume in piena come Jerry: un rapporto burrascoso, ma lui è ora il fratello che non ho avuto. Arbore mi ha fatto capire chi potevo essere in tv: fu lui a spingermi a Domenica In e a consigliarmi, dopo gli anni del glamour e tacchi alti di Alba Parietti, di essere l’esatto contrario. La Mara donna che ama la casa e vuole farti sentire a casa. Ora rivedo tutti con piacere: proprio di recente una tavolata familiare con Arbore e gli autori di Indietro Tutta. Quei momenti, come quelli che passo con i miei nipoti sono i colpi di vento della felicità. L’amore vero però è libertà e capirsi. E quella di essere me stessa pienamente me l’ha regalata solo Carraro: la botta di fortuna nella vita è lui, non Domenica In».

Quel salotto negli studi Dear trasforma Mara in #ziamara, ma anche in Mara rock.

«E pensare che nella prima edizione con la Vitti, don Mazzi e Giurato dovevo solo fare il cruciverbone… Ma Monica mi diceva: io so solo di cinema. Don Mazzi: io faccio il sociale. Giurato: io sono un giornalista. Così Paolo De Andreis alla vigilia mi disse: conduci tu… Ero terrorizzata, mi ha spinto nello studio – letteralmente – Fabrizio Frizzi… Sul quel salotto io do amore agli ospiti: Achille Lauro l’ha sentito ed è diventato un mio giovane amico. Tanto da aver creato il tormentone #ziamara a Sanremo. Ma io mica l’avevo capito che i cantanti ce l’avevano con me. Gli potrei essere zia, ma sono amica. Poi vedi Jovanotti, Zucchero, Ferro: tutti vengono lì anche per parlare dei loro dischi, ma sanno che saranno travolti dalla mia emozione. Io non nascondo niente al pubblico e a loro. E poi li ascolto: un flusso romantico, al quale aggiungo qualcuna delle mie mattane jazz. In certi momenti, lì, nello studio sento il colpo di vento: è la mia felicità».

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